Il carcere non è l’unica forma di esecuzione di una pena e non dovrebbe essere neanche la principale. La costituzione, infatti, parla di pene al plurale perché oltre al carcere ci sono anche le misure alternative. L’Ordinamento Penitenziario individua tre tipi di misure alternative: l’affidamento in prova al servizio sociale, la semi-libertà, la detenzione domiciliare.
A questo proposito si è tenuto oggi 7 dicembre il convegno “Scegliere la libertà? Carcere, misure alternative e magistratura di sorveglianza”, presso la sala Auditorium dell’ Isola C3 – Centro Direzionale di Napoli. L’evento è stato organizzato dal Garante Campano delle Persone Private della Libertà Personale Samuele Ciambriello, d’intesa con la Conferenza Nazionale dei Garanti Territoriali.
Ciambriello ha aperto il convegno spiegando il motivo di questo incontro: “Questa giornata di riflessione, organizzata dal mio ufficio, nasce dalla necessità di rilanciare i temi del carcere e dell’esecuzione penale, per lasciarci alle spalle il populismo politico che si coniuga con quello penale”.
“Mancano figure sociali dentro le carceri, come gli educatori. Non abbiamo mediatori culturali e linguistici. Mancano psicologi e psichiatri. Abbiamo le divisioni, ma non il personale per lavorarci”, ha dichiarato il garante campano.
“Il carcere con tutti questi problemi sembra scompaginare tutte le priorità delle nostre comunità. La tutela delle fragilità umane ancora non è applicata. Il carcere è un tema scomodo per la politica. Risulta necessario attuare provvedimenti concreti per ridurre la distanza tra il carcere così com’è e come dovrebbe essere“, ha poi concluso.
É intervenuto successivamente Giovanni Fiandaca, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Sicilia e professore emerito di diritto penale presso l’Università di Palermo. Fiandaca ha sottolineato l’importanza della magistratura in tema di detenzione e i ruoli che essa attualmente ricopre: “Ruolo della magistratura di sorveglianza oggi: di garante della legalità; garante della rieducazione; bilanciamento equilibrato tra i diritti dei detenuti”.
In merito al rapporto tra detenuto e Stato Maria Antonia Vertaldi, presidente del tribunale di Sorveglianza di Roma, ha affermato :“Il nostro detenuto non deve essere come quello che racconta Kafka, che davanti alle porte della legge non sa dove andare. Lo stato deve punire sì, ma anche restituire. Il giudice deve conoscere il detenuto ci deve parlare”.
La Vicepresidente del consiglio regionale della Campania, Loredana Raia, ha posto l’accento sull’importanza della cooperazione di tutte le istituzioni affinché la situazione migliori: “Evitiamo che questa riforma possa essere un pannicello caldo. Facciamo in modo che con il contributo di ognuno si riesca a raggiungere determinati obiettivi. É arrivato il momento di costruire insieme una soluzione più adeguata ad un sistema che oggi è lacunoso per: mancanza di personale, problemi di sicurezza sanitaria , mancanza di figure specialistiche, sovraffollamento. Ritengo che su questi temi non si possano fare dibattiti sterili , ma su questi temi ciascuno di noi deve esercitare il massimo della responsabilità. Da questo punto di vista regione Campania e il consiglio regionale sono presenti“.
La testimonianza di Zito
Non tutti gli uomini condividono lo stesso pensiero circa la libertà. Per molti di loro, la libertà consiste soprattutto nella libertà fisica. Ma non tutti i detenuti la pensano così. Per qualcuno di loro, la più grande libertà è la cultura e la conoscenza. Esprimersi liberamente è una forma di libertà grandissima, anche stando rinchiusi tra le mura di una piccola stanza.
Nel corso della mattinata è intervenuto Zito, un detenuto in semilibertà, che è stato invitato per raccontare la sua storia ed esperienza. “Ho trascorso 5 anni in carcere e quella misura restrittiva ti porta in ogni modo a cambiare, però è chiaro che deve essere un atto di volontà del detenuto a voler cambiare la sua vita. Ho cercato attraverso lo studio di capire che tipo di persona sono stato per un quarto di secolo, ho studiato in modo approfondito gli eventi che si sono succeduti“, ha dichiarato il detenuto.
Zito durante il giorno partecipa ad attività lavorative e istruttive, utili al reinserimento sociale. Da un anno non torna più nella casa circondariale di Santa Maria di Capua Vetere, ma si reca dal professor Belardo che ha messo a disposizione la sua casa per far sì che lui possa avere un tetto sulla testa.
“L’università mi ha dato le qualità e la visione giusta per conoscere territori nuovi. Non smetterò mai di ringraziare il mio magistrato di sicurezza, che nonostante io sia stato un ergastolano mi ha dato fiducia e ha investito su di me. Inoltre durante il mio percorso di studi universitari ho avuto la possibilità di conoscere un professore che da un anno che mi ospita a casa sua. Ma parliamoci chiaro, chi ospiterebbe un ergastolano a casa sua? Gli devo la vita”, ha concluso Zito.
Grazie alle misure rieducative e all’insegnamento, tanti detenuti possono riuscire a comunicare di nuovo con il mondo. Un mondo che ormai è considerato estraneo e dal quale si sentono spesso esclusi una volta usciti dal carcere. Le misure alternative sono quindi necessarie affinché i detenuti comprendano che l’unica strada da perseguire è quella della legalità.
Tendere alla rieducazione significa soprattutto riconoscere ad ogni condannato il diritto a sperare che, orientando verso modelli positivi la propria condotta all’interno del carcere e partecipando alle attività che gli vengono prospettate, possa ottenere l’occasione di potersi reinserire nel contesto sociale.