Ginevra, Ancora un appello per porre fine alle violenze nella martoriata Libia e proteggere i civili, ad incitare
la fine alle ostilità è stato l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e l’Organizzazione
Mondiale della Sanità. «Il conflitto e la pandemia di covid-19 rappresentano una minaccia significativa alla vita del Paese. La salute e la sicurezza dell’intera popolazione sono a rischio». E’ quanto si apprende nella dichiarazione congiunta firmata da Unhcr, Oms, Oim, Unicef, Ocha, Unfpa e Wfp sulla situazione in territorio libico.
Inoltre, si legge nella nota che oltre 400.000 libici sono stati sfollati dall’inizio del conflitto,
circa la metà dei quali nel 2019, da quando l’attacco a Tripoli è cominciato. «Nonostante i reiterati appelli
per un cessate il fuoco umanitario, anche da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António
Guterres, le ostilità continuano senza sosta, impedendo l’accesso e la consegna di aiuti umanitari
fondamentali». E’ indicato nella nota oltretutto che «a marzo 2020 i partner umanitari hanno riportato
notevoli restrizioni di accesso ai movimenti di personale e aiuti umanitari all’interno e verso la Libia. A
sopportare il peso del conflitto armato in corso sono come sempre i più vulnerabili, in particolare donne e
bambini».
Nel 2019, le Nazioni Unite hanno verificato è posto in evidenza, 113 casi di gravi violazioni, tra cui
uccisioni e mutilazioni di bambini, attacchi a scuole e strutture sanitarie. I bombardamenti, inoltre, hanno
ulteriormente sconvolto il già fragile sistema sanitario libico. Dall’inizio dell’anno si registrano almeno 15
attacchi, che oltre a costituire una palese violazione del diritto internazionale umanitario, sottolineano le
organizzazioni Onu, sono ancora più vergognosi durante la pandemia da covid-19. Dopo i 64 casi registrati
negli ultimi giorni si teme un’ulteriore escalation dell’epidemia. Anche la sicurezza alimentare, che era già
una sfida, viene compromessa dalla diffusione della pandemia. Preoccupa anche la situazione dei migranti.
Dall’inizio di quest’anno, migliaia di persone sono state intercettate in mare e sono state fatte ritornare in
Libia. Molti di loro finiscono in uno degli undici centri di detenzione ufficiali, altri in strutture o centri di
detenzione non ufficiali a cui la comunità umanitaria non ha accesso.
L’ONU continua a ribadire che la Libia non è un porto sicuro . Sui recenti sviluppi della crisi libica si è espresso anche il Ministro degli Esteri Italiano, Luigi Di Maio, che nel corso di un’audizione davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato, il capo del dicastero ha spiegato che «non esistono ipotesi di militari sul terreno. Le cinquecento unità impegnate nella missione Irini non significano 500 militari sul terreno, ma militari che si alterneranno nella missione navale, aerea e nel comando che è nostro». il capo della Farnesina, ha assicurato che «la questione dei “boots on the ground”, ossia militare, in Libia, non esiste nella misura in cui né il mandato delle Nazioni Unite né le autorizzazioni del governo o delle parti esistono in questo senso».
A cura di Raffaele Fattopace