Concordiamo con il ministro Dario Franceschini: “L’Italia è la meta turistica più desiderata al mondo. Chi viene da noi vuole vivere un’autentica esperienza in cui cultura, cibo, stile e bellezza rappresentano un tutt’uno. Nei prossimi anni il turismo crescerà e a tassi percentuali elevati; la sfida è governare questa crescita valorizzando e salvaguardando il patrimonio diffuso in tutto il Paese”. L’idea del patrimonio diffuso è affascinante perché porta italiani e stranieri a “riscoprire” le innumerevoli opere d’arte presenti in paesi, borghi, campagne.
Lo confermano bilanci e previsioni. Finita nel 2015 la pesante crisi del turismo, solo parzialmente compensata dalla costante crescita dei visitatori stranieri, nel 2016 – dati dall’Annuario statistico italiano Istat – il flusso dei clienti è stato di circa 403 milioni di presenze; in aumento del 2,6% rispetto al 2015. Nell’ambito dei paesi dell’Ue, l’Italia si colloca in terza posizione per numero di presenze totali negli esercizi ricettivi, con un’incidenza di stranieri superiore alla media europea (49,5% rispetto al 45,5%).
Dalle statistiche al rapporto previsionale 2017: oltre 420 milioni di presenze con un +4,2% rispetto al 2016. In Lombardia, terza regione italiana per afflusso di visitatori stranieri, 2017 record, con 37 milioni di presenze, compresi gli italiani. E pure le feste di Natale e Capodanno hanno, come si suol dire, registrato il tutto esaurito.
Perché l’Italia è la meta sognata e fotografata dagli stranieri più di Usa e Australia (seconda e terza in classifica). Accanto alle tradizionali preferenze di americani, tedeschi eccetera si sono prepotentemente proposti i cinesi che con ben oltre un milione di presenze l’hanno eletta prima meta europea.
Del resto, nonostante i problemi di sempre – una promozione spezzettata tra Stato, Regioni e Comuni, deficit logistici, eccesso di costi fiscali, voracità e improvvisazione di taluni operatori – il Belpaese permane vivissimo nell’immaginario del mondo. Basti un solo dato: gli studenti di italiano nelle università americane sono passati dai quasi 50 mila del 1990 agli oltre 71 mila del 2013, afferma la Modern Language Association. E l’italiano è al quarto posto tra le lingue moderne insegnate negli atenei statunitensi, che riscoprono il “dolce sì”, mentre noi abbiamo prontamente adottato l’”ok”.
Achille Colombo Clerici