Molto spesso, in giro, si sente parlare della questione immigrazione. Nei bar, nei ristoranti, nelle metropolitane, ogni volta capita di incontrare una persona di origini non italiane, la discussione dei presenti è pronta a partire. Ci sono varie visioni in merito: alcune persone particolarmente patriottiche vedono nello straniero una minaccia per l’autodeterminazione del popolo italiano; altre utilizzano il termine “invasione” quasi come se gli stranieri occupassero il suolo italiano senza chiedere il permesso a ipotetici proprietari; infine, molte altre persone pensano che i mali del nostro paese (la disoccupazione, la povertà ecc) siano causati dalla loro presenza, perché occupano il posto di un nostro potenziale lavoratore. Tutto questo ha un fondamento? O si può parlare semplicemente di un facile bersaglio che ha un immediato effetto placebo sulle paure collettive? Prima di tutto è opportuno precisare che quando si parla di immigrazione si intende l’insediamento o l’ingresso di persone provenienti da altri paesi, e che nel complesso, questo fenomeno, vecchio come il mondo, rientra nel quadro generale delle migrazioni internazionali. La motivazione che spinge una persona o una famiglia ad emigrare, nella stragrande maggioranza dei casi, è dovuta alla condizione di povertà e alla mancanza di lavoro nel proprio paese di origine- come succede, ad esempio, ai giovani italiani che si dirigono all’estero in cerca di fortune. Sempre più stranieri arrivano in Italia e occupano settori come l’agricoltura e i servizi di cura ovvero quei settori che non sono ambiti dai nostri giovani perché quasi sempre si tratta di lavori sottopagati e irregolari.
Poi c’è, invece, l’emigrazione cosiddetta forzata dovuta alle guerre per cui molte persone sono costrette a lasciare il proprio paese. Nel 2014 e nel 2015 si sono verificati innumerevoli sbarchi nel mare nostrum, di persone provenienti dall’Eritrea, dalla Siria, dalla Nigeria (in media 160 mila sbarchi): tanta povera gente che a bordo di un gommone tenta di salvarsi dalla guerra. Vengono accolti dalla Croce Rossa Italiana, dalla Protezione Civile e vivono in una condizione di indigenza totale (non hanno soldi, non hanno un lavoro, non hanno un tetto, non hanno familiari). Ma l’Italia è soltanto il primo approdo: migliaia di migranti si muovono lungo lo stivale per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita.
Dunque perché accanirsi così tanto, visto che poi anche l’Italia è interessata dal fenomeno dell’emigrazione? Sicuramente l’attenzione mediatica trova terreno fertile sul lacerante senso di insicurezza. Nella figura dello straniero si riversa la paura del diverso, il timore che, in un contesto di precarietà e di instabilità lavorativa, da un momento all’altro si possano perdere quelle poche certezze che si hanno. E poi, purtroppo, trabocca l’immagine stereotipata dell’immigrato come delinquente, come clandestino, come terrorista, come un personaggio pericoloso. D’altronde, l’islamofobia” alimenta questa immagine: la presenza nel nostro paese di altre religioni- come quella mussulmana- è percepita come un attacco alla laicità del nostro stato, dei nostri costumi e del nostro vivere quotidiano.
Da come si può notare, su queste tematiche si addensano tutta una serie di nodi rimasti completamente irrisolti. Questo è dovuto a vari fattori: dalla mancanza di misure di accompagnamento all’integrazione; dall’incapacità della politica, italiana e europea, di governare i processi migratori; dalle lacune profonde del Welfare che non è in grado di fronteggiare gli effetti negativi della globalizzazione. E dunque l’immigrato diventa un invasore, una persona pericolosa, un nemico da allontanare, da espellere.