Correva il biennio 1954/1955 quando, nell’arco di nove mesi trascorsi in un paesino della Lucania in provincia di Potenza, il politologo statunitense Edward C. Banfield decodificò i meccanismi dei rapporti interpersonali di quella società e la loro estensione alla sfera amministrativa ed economica, approdando alla nozione di familismo amorale.
Citando proprio le parole di Banfield, con la definizione di familismo amorale si intente “massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”.
Il perseguimento dell’ interesse personale e dei familiari più stretti danneggia senza dubbio il benessere comunitario, per cui la società cade in una dimensione di stallo e arretratezza.
Dalla visione di Banfield si evince che una concezione estremizzata dei legami familiari, il senso di responsabilità unicamente verso i propri figli, innescano una serie di meccanismi di corruzione, di scambio di favori, di clientelismo, di disinteresse verso qualsiasi dimensione associativa che possa favorire lo sviluppo della cosa pubblica dal punto di vista sociale ed economico.
Il lavoro di Banfield aveva corrispondenza con le ricerche di altri studiosi anglosassoni i quali additarono questo fenomeno come tipico delle culture dell’ Europa meridionale (gli studi furono condotti soprattutto in Spagna, Francia, Italia).
Le critiche a queste teorie sono tuttora accese ma, al di là di qualsiasi implicazione discriminatoria verso il sottosviluppo meridionale, dovremmo cogliere il paradigma di queste ricerche come spunto di riflessione e capire se un sud, con una visione del mondo a preponderanza cristiano-cattolica, non sia stato davvero frenato da un’ eccessiva e distorta valorizzazione del legame familiare, a discapito di qualsiasi meritocrazia nel mercato e nella gestione del lavoro.
Più che additare la crisi economica come un’entità trascendentale che ci ha rovinato l’esistenza, dobbiamo rimproverarci di non aver creato un sistema in grado di reagire in modo opportuno a tale crisi e tener presente che l’economia è un fatto umano, cioè creato dagli uomini.
La ricerca dell’ immediato interesse per la propria famiglia ha concesso un benessere effimero ai nostri figli, ai quali consegneremo una società malata e senza futuro e a più di mezzo secolo dal lavoro di Banfield, ancora ci sentiamo offesi e discriminati quando qualcuno ci mostra difetti e lacune del nostro paese.
È ormai giunto il momento di considerare le critiche senza risentimento e in un’ottica costruttiva.