Certe partite – di calcio, tennis, basket e tante altre discipline – somigliano ad un romanzo, di quelli da leggere tutto d’un fiato. L’amore, il dolore, la battaglia, l’identità, i destini che si incrociano, la passione, le miserie, i sogni agguantati e quelli sfuggiti. In una parola: la vita. Tutta una vita in un respiro di minuti. E’ lo sport che diventa narrazione epica. La finale di Wimbledon – Djokovic vs Federer – è stata la dimostrazione definitiva di come lo sport lavori per impreziosire la nostra memoria.
La più bella partita di sempre? Probabilmente sì, anche se una corrente di pensiero riconduce invece al pomeriggio del 6 luglio 1980, a Wimbledon, quando Björn Borg ebbe ragione di John McEnroe alla fine del tie-breakconsiderato il più emozionante della storia del tennis.
Nel ricordo si sublima il gesto agonistico, sia esso una «volée» di Djokovic o un gol di Maradona, una schiacciata di Michael Jordan o un pugno di Tyson. E’ il gesto che diventa storia, è la storia che diventa mito. Ci sono state sfide che hanno lasciato tracce indelebili nell’immaginario collettivo. Quando eravamo re: 30 ottobre 1974, Kinshasa, nello Zaire. Rumble in the Jungle, la storia della boxe. George Foreman contro Muhammad Alì. Che all’ottavo round, dopo aver insultato e sbeffeggiato l’avversario, gli sussurra: «Ehi George, è tutto qui quello che sai fare?». Via dalle corde, una serie veloce di colpi, un destro definitivo. Foreman al tappeto, Alì in trionfo nel delirio di centomila africani. E che altro sono state Italia-Brasile del 1982 o Italia-Germania 4-3 del 1970 se non due momenti irripetibili che da allora continuano a ripetersi e a rivivere nella memoria degli italiani?
Noi persone normali attraverso l’eroe dello sport troviamo il legame tra l’uomo e il divino. Ed è esattamente in quella tensione (agonistica, spirituale, filosofica) che le più grandi sfide sportive di tutti i tempi trovano ragione di esistere. Le finali NBA tra i Los Angeles Lakers di Magic Johnson contro i Celtics di Larry Bird hanno attraversato il decennio degli anni ’80 raccontando meglio di tanto altro l’America, così come la corsa a piedi scalzi dell’etiope Abebe Bikila ai Giochi Olimpici di Roma nel 1960 ci ha accompagnato tutti nel passaggio da un’epoca all’altra. La velocità supersonica di Usain Bolt in questi anni ha spinto l’umanità oltre il muro del suono portando sempre più in là il confine dell’impossibile: è la bellezza che prende forma così come accade – per esempio – nella mitica rivalità di un tempo in bianco e nero, quando Gino Bartali e Fausto Coppi portavano l’Italia sui pedali.
La medaglia d’oro di Federica Pellegrini ad Atene 2004 era un’annunciazione, quella del «Caballo» Juantorena la prima in assoluto i Cuba, i sorpassi a 300 km./h di Senna o Schumacher – che hanno incrociato le loro carriere solo per un breve tratto – sono invece la dimostrazione di quanto l’uomo abbia continuamente bisogno di superare i propri limiti. Lo sport ha cambiato la Storia, ne ha dirottato il destino mentre il mondo stava a guardare: pensate al peso specifico alla finale del Campionato Mondiale di Rugby tra la nazionale sudafricana, gli «Springboks», le antilopi, e quella neozelandese, gli «All Blacks», il 24 giugno 1995, lungo una storia lastricata dalle leggi razziste. Quando il Sudafrica, a sorpresa, trionfa, comincia la riconciliazione cercata dal presidente Mandela, per tutti «Madiba», il capo di governo di una «nazione arcobaleno» che nello scoprirsi campione di rugby si ritrova unita. La storia – lo sappiamo – è diventata un film. «Invictus», diretto da Clint Eastwood.Perché lo sport – quando tocca queste vette – è il più bello dei film.