L’esercizio della propria spiritualità o fede religiosa è un diritto costituzionalmente riconosciuto le cui manifestazioni però non spesso vengono concesse dalle nostre istituzioni.
Per esempio nelle università italiane, a differenza di quelle di altre parti del mondo come nella prestigiosa Duke University, non si è mai pensato di adibire una stanza a “spazio della preghiera“ destinato ai vari culti esercitati anche nel Nostro Paese.
Nell’ateneo americano, per esempio, su una parete infatti c’è un altare buddhista, mentre su un’altra c’è dipinto un simbolo hindù, l’Aum, con un piccolo altare sotto. Lungo il corridoio che porta alla stanza della preghiera c’è anche un ufficio dedicato ad entrambi i gruppi.
Non vi è dubbio, che immaginare un’area delle nostre Università dedicata ai vari culti possa rappresentare quel ponte verso le altre culture che spesso manca proprio in quei posti dove la cultura dovrebbe trovare le sue massime espressioni.
La sola idea di veder pregare l’uno accanto all’altro musulmani e cristiani o buddisti, per Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, “non solo costituisce un grande gesto interreligioso, ma la manifestazione concreta che l’Italia si apre veramente al dialogo ed alla tolleranza anche nei processi formativi dei nostri giovani”.