“ Un punto piccoletto, superbioso ed iracondo “dopo di me – gridava – verrà la fine del mondo!..le parole protestarono : Ma che grilli ha nel capo? Si crede un punto e basta?….Tutto solo a mezza pagina lo piantarono in asso ed il mondo continuò una riga piu in basso” ( da Il dittatore di Gianni Rodari).
In questo tempo sospeso accolgo il privilegio del pensiero e mi sono concessa di ripensare ad alcune cose belle che hanno alimentato la mia anima nel passato, fra queste la lettura e l’incontro con versi e scritti trascurati di recente e sostituiti da necessità di lavoro. Ed ecco tornati in mente alcuni versi di Gianni Rodari, sarà perchè ho ripreso vecchie foto di mio figlio piccolo a cui leggevo continuamente sue storie e fiabe, sarà perché il 2020 è l’anno in cui ricorre il centenario della sua nascita, oppure perché il 14 aprile è l’anniversario della sua morte, o forse semplicemente perché quel puntino dispettoso e presuntuoso mi è sembrato il nonno del Covid-2019, il virus che ha fermato le nostre vite, imponendo anche ai più restii, di fermarsi ad aspettare. Certo, il mondo e noi con lui, ripartiremo proprio una riga più in basso ed anche in questa meravigliosa suggestione ho trovato lo specchio del presente, e sarà annientato l’ennesimo dittatore che ha cercato di fermare il flusso della storia. Il lungo tempo di attesa ha coinvolto tutti, senza differenza di età, colore o conto in banca accomunandoci in una bolla universale. Questo puntino superbioso, forse non voleva uscire dal pipistrello in cui viveva, ma noi lo abbiamo costretto, lo abbiamo rapito, violentato, indotto addirittura a fare un salto di specie. Lo abbiamo costretto a volare, ad attraversare l’oceano, ad entrare nei nostri ospedali E così lui da superbioso è diventato dispettoso ed iracondo, trasformandosi in un nemico subdolo, furbo, pericoloso perché assolutamente sconosciuto. Ha utilizzato la velocità per insinuarsi nel nostro mondo, e ci ha costretti all’immobilismo, insegnandoci che si può combattere rimanendo fermi, in attesa, ma soprattutto ci ha fatto scoprire una fragilità collettiva a cui non avremmo mai pensato senza di lui. Il Covid-19 per noi è il nemico da abbattere, da isolare, il mostro invisibile che si è impadronito del nostro tempo. Ma cambiamo prospettiva e scopriamo che non è così, lui stesso è una vittima, l’ultima vera vittima della nostra mania di onnipotenza. Prima di lui i nostri mari, i fiumi, i ghiacciai, ma anche le relazioni interpersonali. Il gioco del mondo è un affare maledettamente serio e bisogna farlo capire ai bambini, ma prima di loro agli adulti che hanno la responsabilità del presente e quella della formazione e della educazione delle nuove generazioni. Ora che siamo fermi utilizziamo il nostro tempo per capire davvero il mondo che vogliamo. Ma davvero intendiamo ricominciare a correre senza sapere dove andare? Siamo davvero convinti che la distruzione di tutto quello che ci circonda e la trasformazione di ogni risorsa in beni di consumo, sia il cammino da continuare? E mi viene in soccorso ancora una volta il geniale Rodari quando dichiarava : “Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo? “. Parafrasandolo io mi chiedo, ma è necessario soffrire per poter imparare qualcosa dai nostri errori? L’errore può far piangere o far ridere; l’errore genera nuovi sensi, diventa creativo. Rodari è stato uno dei primi a parlare in Italia di creatività, quando la nozione non era ancora inquinata dagli abusi che se ne sono poi fatti. Erano anni in cui, grazie proprio a lui, il mondo si avviava a comprendere che le cose da bambini non sono solo da bambini, concetto sdoganato solo con il tempo. Gianni Rodari molto apprezzato dal mondo della scuola, mi guida in questa riflessione per rimarcare anche da qui il ruolo fondamentale della educazione e formazione scolastica, rivista in chiave di quarantena. Il virus ci ha trovati impreparati, non solo da un punto di vista medico, cosa che sarà sempre possibile anche in futuro, ma ha trovato il nostro sistema fermo, ripiegato su se stesso. Avremmo dovuto rispondere velocemente, come la globalizzazione oramai ci impone, e non lo abbiamo fatto, anzi gli abbiamo opposto la immobilità. Stiamo scontando la scelleratezza di aver forzato la natura contro ogni logica; di non aver investito in ricerca e tecnologia a servizio della sanità; di aver fatto prevalere la paura dei mercati e del profitto immediato, alla sicurezza collettiva, ci siamo cioè rivelati prigionieri di categorie economiche e sociali superate, obsolete, a tal punto da essere diventati un bersaglio facile. Stiamo utilizzando il distanziamento fisico per evitare che il virus si diffonda, il pericolo che corriamo è quello di trasformare questa distanza fisica in distanza sociale, culturale. In una distanza fra giovani ed anziani, donne ed uomini, nord e sud, ricchi e poveri. La distanza sociale genera mostri e disuguaglianze. E’ davvero il momento di ripensare al nostro futuro. Non penso che il mondo risulterà migliore dopo questa emergenza, ma ci sono evidenze da cui non si dovrebbe prescindere. Innanzitutto il fatto che nell’economia del Ventunesimo secolo lo Stato è fondamentale. Il suo ruolo è stato minimizzato nell’era neoliberista e lo stiamo pagando a caro prezzo. I mercati funzionano per alcune cose, ma non per altre. Quando la crisi colpisce ci rivolgiamo allo Stato, il settore privato non ci protegge. La salute pubblica è un bene comune, così come l’azione dei singoli individui e dei singoli Paesi ha forti ricadute sugli altri. L’unico modo per proteggersi è farlo insieme. L’Italia, alla vigilia del Coronavirus, era in grande difficoltà, come dimostrato da dati, non ultimi quelli dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo sostenibile , da cui emergeva l’immagine di un Paese diviso, con alti tassi di disoccupazione, bassa educazione, profondi divari nell’accesso ai servizi sanitari ed educativi, con un forte inquinamento, con alta evasione fiscale (110 miliardi annui). Ma veramente vogliamo tornare dove eravamo? E se imparando dai nostri errori, facessimo appello alla “fantasia creativa” suggerita da Rodari, con l’obiettivo di elaborare strumenti interpretativi nuovi e rigorosi. Dobbiamo “inventare” meccanismi per avvicinare ciò che è lontano, per allontanare ciò che non è utile, per superare ciò che divide. Bisogna considerare investimento tutto quello che mira al benessere delle persone, anche se non conferisce un utile immediato. Occorre davvero ridurre la vulnerabilità sociale di tutti i cittadini e lasciare unicamente ai nostri bambini il privilegio di sbagliare ridendo. Noi padri e madri assumiamoci la responsabilità della costruzione collettiva. Non so cosa penserebbe l’eclettico Rodari del periodo che viviamo, né so cosa direbbe di questa modesta riflessione nata dal suo puntino , ma sono sicura che avrebbe scritto una fiaba, la migliore, per spiegare ai bambini questo nostro tempo, ed avrebbe ricordato a noi adulti contemporanei senza memoria, che “gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli, come la Torre di Pisa”, ma ora non è più il tempo degli errori di distrazione da parte degli adulti.
Anna Malinconico – sociologa