Segnalo una raccolta di saggi di Manin Carabba, I miei mulini al vento, il Mezzogiorno e i diritti dei cittadini, Svimez, Roma, 2017.
L’autore suscita in me i ricordi di com’eravamo 50 anni fa. Manin Carabba era un socialista impegnato con i primi governi di centrosinistra nella squadra di Giorgio Ruffolo, segretario alla programmazione economica nel Ministero del Bilancio guidato da Ugo La Malfa, mentre io facevo l’economista free lance, comunista, orientato verso una improbabile carriera universitaria.
Ci intersecammo quando Carabba dirigeva l’ISPE, l’Istituto della programmazione economica mentre io ancora militavo nel PCI dove rimasi fino a metà degli anni ’80. Me ne distaccai perché Berlinguer scelse di mettere al primo posto della politica comunista la “questione morale” dopo il fallimento dei governi di solidarietà nazionale sostenuti dal PCI. Chi ha assorbito la lezione de Il Principe di Machiavelli, sa bene che privilegiare la morale impedisce alla politica di esprimersi compiutamente.
Il meridionalismo del dopoguerra fu costellato di personaggi intellettualmente assai solidi: a sinistra, ex comunisti e ancora comunisti, da Rossi Doria a Sereni, da Amendola a Di Vittorio, socialisti come Morandi, al centro cattolici come Saraceno, Scardaccione e Pescatore ma non va trascurato Emilio Colombo che in Basilicata allevò un gruppo di giovani competenti anche nell’amministrazione locale (la Basilicata è stato un lascito di buon governo della DC, forse il migliore sopravvissuto nel Mezzogiorno). Tra i comunisti come non ricordare Pio La Torre, eccellente e indomito combattente siciliano che negli anni ’70 fu responsabile per il Mezzogiorno nella direzione nazionale del PCI? Nel 1982 La Torre fu barbaramente trucidato a Palermo dalla mafia insieme col suo autista e guardia del corpo, il compagno Rosario Di Salvo. Nel 1976 La Torre aveva partecipato alla cerimonia d’insediamento del nuovo Consiglio di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno, di cui i comunisti facevano parte per la prima volta ed io ero tra questi.
Manin Carabba ha scelto come sopratitolo del suo libro “I miei mulini a vento” per dire che il suo impegno per il Mezzogiorno è stato un’impresa donchisciottesca. E che dire allora dell’impegno dei comunisti, stretti nella guerra fredda tra il Patto Atlantico e il Patto di Varsavia, sempre in guardia dai pericoli di colpi di Stato, messi al bando e congelati sui posti di lavoro? Altro che mulini al vento. Eravamo autentici kamikaze.
Il libro di Manin Carabba invita ad alcune riflessioni sul futuro del Mezzogiorno. Chiediamoci: perché la politica meridionalista oggi è in crisi? Quali sono i suoi fattori di debolezza?
Scartiamo la spiegazione facile della congiura dell’egoismo che muoverebbe l’Italia forte contro l’Italia debole, la popolazione agiata del Nord contro i poveri del Sud. Un’eco di questa tesi è nella mozione presentata dal Movimento 5 Stelle al Consiglio regionale della Puglia e approvata da quel consesso a fine estate scorsa con la proclamazione di una Giornata della memoria, per ricordare la fine dell’indipendenza del Regno delle Due Sicilie nel 1860.
I motivi dell’emarginazione attuale del Sud nel contesto della Nazione italiana a mio avviso sono altri, tra cui questi:
a) la globalizzazione dei mercati internazionali ha proiettato l’Italia alla periferia del mondo industrializzato riducendo i fattori d’attrazione di forze produttive esterne che il Mezzogiorno storicamente ha sempre presentato (abbondanza di forza lavoro, risorse della natura),
b) il decentramento produttivo dal Nord al Sud è divenuto prevalentemente passivo, non ha attivato un diffuso ceto imprenditoriale locale,
c) il settore pubblico cresciuto nel Mezzogiorno all’ombra delle autonomie locali (Regioni e Comuni) chiamate a gestire il welfare e le infrastrutture è prevalentemente governato da un ceto politico rapace, clientelare e dinastico, persone che non hanno visione né programmi realistici da proporre alla popolazione. Sono poche le eccezioni come il governo della Puglia e della piccola Basilicata.
d) il parassitismo sociale e la diffusa corruzione allentano i legami di solidarietà interregionale, del Nord verso il Sud, e rendono il Mezzogiorno un fattore di costo più che un mercato di sbocco dei prodotti dell’Italia ricca. Il Nord commercia sempre più con altri territori europei e del resto del mondo, non ha interesse per le vicende politico-sociali del Sud e non intende sostenere i consumi dei meridionali trasferendo risorse pubbliche in quelle regioni,
e) è tale l’apatia e la mancanza d’iniziativa del ceto politico meridionale che non ha colto l’occasione dei referendum organizzati dai veneti e dai lombardi per sollecitare la nuova suddivisione di competenze nelle materie da governare tra lo Stato e le autonomie locali.
Debole è l’attrazione che porterebbe i giovani meridionali ad impegnarsi nella milizia politica e nell’accesso alle cariche elettive. Più forte è il coinvolgimento in opere sociali, nel terzo settore, nelle attività non profittevoli. Le istituzioni controllate da boss politici e condizionate dalla malavita erigono mura che impediscono la piena manifestazione delle energie diffuse nel popolo meridionale.
C’è un futuro per i giovani che s’impegnano nella creazione di piccole imprese innovative. Nascono infatti anche nel Mezzogiorno imprese per il trasferimento di conoscenze dai laboratori di ricerca alle attività produttive, le cosiddette start up. La Regione Campania nel luglio di quest’anno ha messo a bando agevolazioni dell’importo di 15 milioni di euro a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale 2014/2020 a favore delle piccole imprese innovative e il bando ha ricevuto domande per 5 volte la cifra stanziata. Nella burocrazia regionale fortunatamente un assessore competente governa la materia e ciò lascia ben sperare per il futuro.
Mariano D’Antonio, economista (tratto da Qualcosa di Napoli)