All’ultimo incontro-scontro con l’Inter, la società sportiva partenopea è affondata due volte. La prima, calcisticamente parlando, con le due reti incassate e la conseguente sconfitta; la seconda, in termini calcistici e d’immagine. I rispettivi allenatori si sono affrontati a colpi d’insulti, ed è finita che Maurizio Sarri s’è lasciato sfuggire qualche parola di troppo. Gli sono toccati due giorni di squalifica dal giudice sportivo Giampaolo Tosel, e dovrà pagare una multa di 20mila euro. Giusto, verrebbe da pensare, eppure non tutto torna.
Sarri si è scusato, dicendo di non voler affatto offendere la comunità omosessuale, e di certo c’è da credere che la pena sarebbe stata maggiore se Mancini fosse stato davvero gay. In tal caso, avremmo dovuto pensare che avesse voluto denigrarlo in quanto omosessuale. Deo gratias, il nostro allenatore non ce l’ha con i finocchi. Il suo è, se così si può dire, un retaggio culturale, quello che più o meno inconsapevolmente ci portiamo dentro tutti quanti, e che ci spinge ad additare gli uomini come effeminati (o, appunto, omosessuali) e le donne come delle poco di buono quando vogliamo insultarli. La potremmo definire una tara linguistica, un difetto che si appiccica a noi fin da piccoli, per cui impariamo che questo è il modo di mortificare chi ci sta di fronte. È come se fossero le prime parole che troviamo a portata di bocca quando c’incazziamo.
Quindi Sarri è scusabile? Nient’affatto. Perché i difetti si possono correggere. Il fatto che utilizziamo parole come “mongoloide” per offendere chi non è portatore di handicap, senza renderci conto che intanto offendiamo chi lo è davvero, non rende la parola meno pregnante. In ballo c’è l’idea stessa che essere handicappati, o omosessuali come nel nostro caso, sia in sé disonorevole, rivoltante e sbagliato, ed è un’idea che possiamo, e dobbiamo scrollarci di dosso. Capire da dove viene l’insulto non lo rende meno offensivo, semmai aiuta a contestualizzarlo. Cos’è che allora non ci torna?
Per esempio, il fatto che quindici anni fa fu lo stesso Roberto Mancini a dare del frocio a un giornalista della Gazzetta dello Sport, e allora questa sua improvvisa indignazione assume un sapore alquanto ipocrita, e se non fossimo in buona fede potremmo persino affermare che abbia strumentalizzato l’offesa rivoltagli da Sarri per cucirgli addosso l’immagine del carnefice. Anche questo sarebbe grave. Aggiungeteci che anche lui ha risposto per le rime, ma invece della squalifica gli è toccata soltanto la multa. Forse perché “frocio” è ingiuria più pesante di “cazzone di merda”, e ci potrebbe anche stare se non fosse che viviamo nel Paese che si ostina a disconoscere l’omofobia come un reato.
Adesso stanno tutti a storcere il naso non appena si nomina Sarri, soltanto perché fa più politically correct dire che ha sbagliato. Nel frattempo, però, nessuno si è accorto che ancora non abbiamo una legge contro la discriminazione sessuale, perché i politici scelti per governarci in Parlamento si divertono da sempre a bloccare i disegni di legge in merito. Gianluca Buonanno sono anni che dice che i gay gli fanno schifo, e lo abbiamo mandato pure a rappresentarci in Europa. Sembra quasi che la politica sia una cosa meno seria del calcio.
Eppure, proprio il calcio è il mondo in cui gli insulti volano da una parte all’altra con estrema facilità, senza che quasi ce ne rendiamo conto. A noi napoletani, per esempio, danno parecchio fastidio i cori da stadio che perennemente ci invitano a lavarci nelle acque incandescenti del Vesuvio, o qualunque altra perifrasi per dirci che non emaniamo un buon odore, e ciononostante si sentono ancora, così come si vedono sugli striscioni. Non è razzismo anche quello?
Allora, ben vengano le scuse di Sarri, e la sua giusta punizione, sperando che cose del genere non capitino più, ma ben vengano pure un calcio, un giornalismo, una politica, un’Italia meno bacchettoni e più onesti.
Andrea Vitale