Non lontano da Damasco, in Siria, i terroristi del cosiddetto Stato Islamico si sono impadroniti del campo profughi palestinese di Yarmouk. È notizia di questi giorni, con la recente conquista del campo da parte dell’IS. Fonti ufficiali confermano che ormai il 90% dell’area è nella mani dei jihadisti, il che equivale a dire che se ne sono completamente appropriati. L’aviazione siriana ha dato il via ai bombardamenti, alcune famiglie stanno cercando di scappare a loro rischio e pericolo, con la minaccia dei cecchini che incombe sulle loro teste.
Ma non è dell’IS e della loro barbarie che vogliamo parlare. La notizia dovrebbe riportare un po’ di luce, per quanto fioca, sui rifugiati che vivono attualmente in Medio Oriente, e farci riflettere sulle condizioni di quella che loro malgrado sono costretti a chiamare vita.
Secondo l’UNRWA, L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi, nella zona di Yarmouk risiedono 18.000 civili, di cui oltre 3.000 sarebbero bambini, tutti in serio pericolo di morte, lesioni gravi, traumi e migrazioni forzate. Anas, una residente del luogo, afferma che per comprendere come si vive a Yarmouk, basta staccare l’elettricità, l’acqua, il riscaldamento, mangiare una sola volta al giorno e bruciare i vestiti che si possiedono per procurarsi quel tanto di calore che basta. Ma il problema, come si diceva prima, non è soltanto qui. Se allarghiamo lo sguardo, arriviamo alla conclusione che Yarmouk non è che un puntino di un quadro ben più grosso e più complesso, e che abbraccia non soltanto la Siria.
Prendiamo l’Afghanistan, per esempio. Soltanto il Pakistan e l’Iran ospitano insieme più di due milioni di rifugiati afghani, di cui la metà è costituita da bambini. Come si legge sul sito dell’UNHCR, il livello di sviluppo socio-economico dell’Afghanistan, ad oggi, è fortemente condizionato dalla sua limitata capacità di reintegrare i profughi che fanno ritorno in patria. Le difficoltà del Paese sullo stesso piano economico e sociale da un lato scoraggiano altri afghani a ritornare, e dall’altro ostacolano la possibilità di coloro che sono già rientrati di reinserirsi a tutti gli effetti nella comunità. I principali problemi sono rappresentati, per dirla senza mezzi termini, dal bassissimo tenore di vita, a sua volta determinata dalla mancanza dei principali servizi, e dallo scarso livello di sicurezza in alcune zone.
Oggi è proprio la Siria a fornire le statistiche più inquietanti sui profughi del Medio Oriente. Giunta ormai al suo quinto anno di guerra civile, la popolazione siriana versa in una situazione sempre più drammatica. All’estate del 2014 erano circa tre milioni i siriani rifugiati nei Paesi vicini, come il Libano e la Giordania, mentre altri sei milioni e mezzo erano sfollati dentro la Siria, e con un conflitto militare in atto le cifre sono solo destinate ad aumentare nel corso del 2015.
La ragione per cui il Medio Oriente è diventato la principale regione d’origine e di destinazione del traffico dei profughi rimane la sua profonda instabilità politica e militare, capace di far sprofondare l’intera area in un conflitto dopo l’altro, e al tempo stesso di privarla di una strategia che possa risollevare la sua popolazione dalla povertà e dalla miseria. La primavera araba, le guerre civili, i conflitti arabo-israeliani hanno distrutto abitazioni e infrastrutture, luoghi di culto e di istruzione, hanno impedito l’accesso agli aiuti umanitari e soprattutto hanno minato giorno dopo giorno la speranza delle persone di poter finalmente uscire dall’inferno. I continui scontri armati in diverse regioni dell’Iraq, come Anbar e Ninawa, hanno indotto le persone a migrare verso altre aree del Paese. In Yemen i piccoli conflitti locali misti alla mancanza d’acqua e alla terrificante povertà diffusa stanno facendo aumentare drasticamente il numero degli “ospiti” nei campi profughi. È un Vicino Oriente che rimane tristemente vulnerabile, e che non riesce ancora a trovare una sua identità, così come molti siriani, afghani, iracheni non riescono ancora a trovare una casa.