di Michela Rostan
La diciottesima legislatura è partita, prima con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, poi con le consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo. La situazione politica è complessa. Non sarà facile sciogliere tutti i nodi. Quello che, però, deve essere chiaro fin dal principio è che non possiamo smarrire il filo del confronto con i territori.
Mi interessa molto relativamente quello che si muove nei palazzi romani. Mentre trovo sempre più necessario ricostruire la connessione con le persone. Ho intenzione di concentrare su questo ultimo punto, la mia nuova esperienza in Parlamento: più vicinanza ai luoghi, più ascolto, più dialogo con le realtà locali.
Andare dove si è perso: non più per capire il perché; ma per dire proprio che lo abbiamo capito.
L’analisi del voto, a un mese dalle elezioni, parla di una sconfitta bruciante per il centrosinistra, in tutte le sue articolazioni. Il Pd, ovviamente. Ma anche noi di Leu, anche l’istanza più radicale e antagonista di Potere al popolo. Le parole della sinistra non hanno avuto presa, soprattutto al sud, soprattutto nei luoghi del malessere, della sofferenza sociale.
Siamo nati per rappresentare il disagio, dal disagio siamo stati travolti. E non è storia di oggi. La Sinistra arcobaleno, nel 2008, si fermò al 3 per cento: non entrò in Parlamento, mentre il centrosinistra perse le elezioni. Rivoluzione civile, nel 2013, si fermò al 2 per cento, non fece il quorum, e il centrosinistra non riuscì a vincere. Adesso, stesso copione. Con numeri ancora più brucianti. Nel solco, peraltro, di una crisi della sinistra in tutti i Paesi occidentali. E’ evidente che qualcosa si è rotto nel nostro rapporto con le persone. In particolare, direi, con il mondo del lavoro. Non riusciamo più a dire cose di senso alle nostre aree di riferimento.
Mi ha colpito particolarmente, nei giorni successivi al voto, una indagine statistica dell’Istituto Tecnè. Da quello studio è emerso che nella fascia di età tra i diciotto e i trent’anni Leu prende solo il 2 per cento, meno della nostra media complessiva. E prendiamo solo il 2 per cento anche tra i disoccupati mentre prendiamo il 4 tra i dipendenti pubblici e i pensionati. In sostanza siamo stati scelti prevalentemente da quelli che ancora conservano alcuni diritti e hanno situazioni di stabilità salariale; mentre siamo stati ignorati per lo più dalle fasce sociali a cui, per tutta la campagna elettorale, e prima ancora, fin dal nostro atto costitutivo, ci siamo richiamati. Questo schema è totalmente sovrapponibile a quello del voto al Pd. Cioè anche il Partito Democratico prende più voti tra i lavoratori dipendenti, tra i pensionati, tra i laureati, tra gli anziani. E meno, molto meno della sua percentuale nazionale, tra disoccupati, precari, gruppi a bassa scolarizzazione.
E’ lì il nodo. E noi lì dobbiamo stare.
A Napoli nord ovest, la mia circoscrizione, abbiamo un risultato anche sorprendente per come si è messa complessivamente: prendiamo 20mila voti, un terzo dei voti del Pd, che arriva appena al dieci per cento, nell’area dove era candidato per i cinque stelle, Luigi Di Maio, e dove i grillini arrivano al 57 per cento. Strappiamo un seggio. Ma anche qui, i numeri sono molto al di sotto delle aspettative. C’è da lavorare. E bisogna farlo non chiusi dentro una stanza, che sia congressuale, di componenti, di partiti o altro, e nemmeno dentro gli uffici delle istituzioni. Dobbiamo lavorare tornando a parlare ai ceti popolari, ai precari, ai disagiati, ai lavoratori sottopagati, a quel mondo di ultimi nel mondo diseguale. Dobbiamo farlo sui territori, dove c’è un’ansia di cambiamento che può anche tornarci utile. A condizione di saperla riempire di speranze e di progetti. La ricostruzione della nostra presenza politica, a sinistra, deve essere condotta dal basso, dalla rete territoriale. Dobbiamo aprire una sezione in ogni comune, allestire una presenza in ogni zona, pensando anche a forme nuove, associative, di aggregazione. Ripartire dalla parola singola alla singola persona, sapendo che sarà lunga e che sarà faticosa. Non si esce in fretta da una crisi del genere. Ma le sconfitte possono essere una straordinaria fonte di rigenerazione. Facciamo questa fatica senza perderci di animo. I nostri temi, i nostri valori, sono quelli giusti. Ritroviamo le parole.
Michela Rostan (deputato Leu)