Conosco B.N. proveniente dalla ex Jugoslavia del “Campo nomadi” di via Cupa Perillo a Scampia da circa due anni, perché la incontravo spesso nella strada sotto casa o vicino la nostra Rettoria “S.Maria della Speranza” con al seguito 4 figli a scalare: due bambini di 8 e 6 anni, una bambina di 4 e l’ultimo di 18 mesi nel passeggino. Non ricordo come siamo entrati in confidenza, ma mi ero reso conto che abitava in una baracca malmessa e bisognosa di essere riparata, il marito in carcere, tutta la cura dei figli gravava sulle sue spalle, e non aveva mezzi di sussistenza se non chiedere aiuto con dignità a chiese, Caritas, associazioni, singoli. “Lavorare” chiama questa richiesta di aiuto.
Ho cercato di rispondere come potevo ai bisogni dei figli, dal cibo agli zainetti per la scuola, ma soprattutto l’ho ascoltata nelle visite al campo o accompagnandola nei tragitti sotto casa la mattina dopo la Messa. Si è instaurata una simpatica familiarità e fiducia, nel rispetto reciproco, che mi ha fatto partecipe dei problemi della sua vita. In questo clima mi sono reso conto che, secondo le sue possibilità, si prendeva cura effettivamente dei figli, e se aveva qualcosa la destinava prima ai figli e poi a sé. Naturalmente questa condizione le pesava, ed aveva momenti di abbattimento e sconforto.
Nella scorsa estate mi è sembrato fondamentale far riparare i tetti della baracca che facevano acqua con lamiere leggere ed i sottotetti con cartongesso, con poche risorse raccolte e personali. Questo lavoro che normalmente avrebbe richiesto una settimana o poco più è durato mesi perché l’uomo del campo che si era preso l’incarico dei lavori di riparazione un giorno lavorava ed altri dieci si dava per malato o lavorava presso altre baracche. Certo non ha fatto miracoli!
Lunedì 2 gennaio il primo figlio raccoglieva inavvertitamente da terra un fuoco d’artificio che gli esplodeva in mano, danneggiandogli gravemente un dito della mano. Veniva portato e curato all’ospedale Santobono di Napoli, e medicato periodicamente secondo le istruzioni del medico. Questo incidente ha avuto una ripercussione preoccupante, perché il medico del Pronto soccorso ne faceva d’ufficio una relazione agli assistenti sociali dell’ospedale. Dagli uffici della VIII Municipalità di Scampia veniva programmata una visita domiciliare, che per una settimana produceva ansia nella madre ed in tutta la figliolanza per l’ingiustificato timore diffuso che gli assistenti sociali potessero sottrarre i bambini alla madre. Nello stesso tempo si cercava di rendere più accogliente la baracca, non solo per dare una buona impressione, secondo sollecitazioni mie e di altri. La visita delle assistenti sociali due settimane fa è stata rassicurante, perché si sono principalmente informate sulla salute del figlio ferito e raccomandato la frequenza scolastica dei bambini in età scolare.
La sorpresa è stata quando con gli amici dell’associazione “Chi rom…chi no”, che avevano seguito le vicende del bambino ferito, la mattina prima della visita abbiamo trovato la baracca in due giorni di lavoro della madre completamente trasformata: lo spiazzo antistante la baracca ripulito, leggere tendine colorate alle finestre dell’entrata, un tavolo per l’incontro con le assistenti sociali, il grande spazio abitato diviso con una parete leggera di legno, con un letto grande per i più piccoli nella sala ed un cubicolo per i due maschi, pareti leggere colorate di rosa. Tutto dava l’impressione di nuovo e di colore, di “casa” abitabile secondo uno stile di paesi orientali con tappeti e divani raccolti. A questa vista abbiamo esclamato: B. ha fatto un MIRACOLO in poco tempo e con risorse povere. Forse il timore ingiustificato di perdere i figli per intervento delle assistenti sociali ha messo in moto le sue energie in un tentativo di riscatto e dignità almeno nell’abitazione. Certo i suoi problemi di sopravvivenza non sono risolti, ma il “miracolo” è stato reso possibile dall’aiuto e dal sostegno di tutti coloro che le sono stati vicini.
B. non è l’unica a compiere questi miracoli in situazioni di sopravvivenza. Negli ultimi anni, dopo decenni di abbandono del campo, diverse donne Rom con mezzi poveri hanno cercato di rendere più confortevoli e dignitosi gli interni delle loro baracche-abitazioni. Non lasciamole sole.