La mostra sul museo del giocattolo, ospitata fino a febbraio nella sala capitolare della chiesa di San Domenico maggiore è quanto mai interessante e permette di ammirare uno dei tanti tesori nascosti di Napoli. Infatti la collezione, ricca di 850 pezzi, appartiene al Suor Orsola Benincasa, ma da anni non era fruibile, perché i locali che la ospitano non sono agibili. Fortunatamente, per la gioia di bambini ed adulti, è stata trovata una sede provvisoria nella grande aula, sorda e grigia, che per anni è stato teatro di memorabili processi in Corte di Assise. Ricordo con una punta di emozione le memorabili arringhe del processo a Pupetta Maresca, che ho ascoltato da ragazzo, stipato in una folla di migliaia di ascoltatori esaltati.
Il 7 gennaio ho organizzato una visita guidata in collaborazione con l’Unione pensionati del Banco di Napoli ed ho avuto l’onore di illustrare l’esposizione ad una ventina di bambini, accompagnati da una miriade di genitori e nonni entusiasti.
Dopo una breve descrizione della guglia e dei palazzi nobiliari che si affacciano sulla celebre piazza (fig. 1), la foto ricordo (fig.2) con il gruppo dei pargoletti(tra i quali, ospiti d’onore in prima fila, i miei adorati nipoti: Leonardo, 1° da sinistra, Matteo, 3° ed Elettra, 5°, appartenenti alla nobile schiatta dei Carignani di Novoli, venuti appositamente da Bruxelles per la visita guidata dal nonno).
All’entrata ci accolgono due frasi lapidarie (fig.3), che ci ammoniscono sul significato del giocattolo, che fa la su comparsa nella notte dei tempi e che ha rallegrato i bimbi all’epoca dei faraoni e dell’antica Roma, per trovare poi il suo trionfo a partire dal Novecento, come mostrano le prime vetrine, che espongono una serie di bambole.
Dopo una veduta d’assieme (fig.4) comincia la serie delle Barbie (fig.5), che rivoluzionarono completamente il mercato delle bambole (fig.6), eleganti e raffinate dei decenni precedenti. Una ditta italiana, la Lenci, esportava i suoi prodotti in tutto il mondo, ma in Italia subì una severa ammonizione dal regime fascista, per aver lanciato un modello di fumatrice (fig.7). Riuscì a farsi perdonare con l’idea di un bambolotto in divisa di balilla, che fece scalpore e divenne l’idolo delle fanciulle dell’epoca.
Oltre all’imitazione del celebre signor Bonaventura (fig.8), portato al successo dal Corriere dei piccoli, tra i pupazzi compare anche Totò in persona, con tanto di sguessera e naso a becco.
Lo stesso Rodolfo Valentino, nelle vesti immortali dello sceicco bianco (fig.9), fa la sua comparsa tra i bambolotti doc e possiamo essere certi che anche tante mamme, di nascosto alla prole, lo hanno abbracciato teneramente.
Dopo una serie di soldatini e di pistolotti di varie dimensioni, si passa alle automobiline (fig.10), tra cui spiccano anche modelli da corsa, come le rosse Ferrari, che costituiranno un sogno destinato a durare anche dopo gli anni della fanciullezza.
Trenini a corda, alla portata di tutte le borse, mentre quelli elettrici, prodotti dalla Lima e dalla Rivarossi, ditte mitiche, erano appannaggio dei bambini ricchi.
Teatrini (fig.11) familiari, che facevano concorrenza a quelli che in tutte le piazze attiravano una folla osannante di spettatori, gabbie con uccelli esotici e cavalli a dondolo (fig.12) di notevoli proporzioni concludono la carrellata di vetrine ed un ultimo sguardo va rivolto ad una sezione, patrocinata dalla Procura della repubblica di Napoli, dedicata al problema dei giocattoli contraffatti, che, oltre a non riconoscere il copyright, tolgono lavoro alle maestranze italiane e ci fanno apparire sempre più lontani quei tempi in cui le nostre ditte esportavano in tutto il mondo, portando gioia ai bambini e valuta pregiata alle nostre casse.
La degna conclusione della visita si è avuta con la distribuzione di bellissimi giocattoli(fig.13) a tutti i bambini intervenuti e di questo nobile gesto dobbiamo ringraziare l’Unione pensionati del Banco di Napoli ed in particolare il suo illustre presidente Carlo della Ragione.
Il giocattolo nell’era del consumismo
A conclusione di questo articolo ho sentito la necessità di esternare alcune amare considerazioni su come il giocattolo si sia trasformato in un virus in grado di contagiare i bimbi sin dalla più tenera età e di trasformarli in adepti di una triste epoca dominata dal moloch del dio denaro.
Conservo gelosamente i giocattoli con cui giocavo da bambino: un trenino a corda, che ancora funziona perfettamente, una locomotiva, cinque carrozze e tanti binari da intrecciare seguendo i percorsi dettati dalla fantasia; un fortino ed un egual numero di soldatini ed indiani, una gabbia smontabile dove a turno collocavo tigri ed elefanti, una trottola, un fucile, due pistole ed un robusto cavallo a dondolo. Li conservo come reliquie, salvandoli dalla furia devastatrice di mia moglie, che vorrebbe gettare via tutte le cose vecchie.
Mi viene in mente Tania, la figlia adottiva di Achille Lauro, uno degli uomini più ricchi d’Italia, che poteva chiedere alla Befana ed a Babbo Natale, decine di doni e qualunque regalo, anche il più costoso al mondo. Ma poteva giocarci soltanto per un mese; perché arrivati alla fine di gennaio ne poteva scegliere uno soltanto e gli altri dovevano essere distribuiti da lei stessa ai bambini poveri della città.
Oggi i bambini sono sommersi dai regali, li spacchettano svogliatamente, ci giocano per qualche giorno e poi ne chiedono altri sempre più complessi e costosi a genitori, nonni, zie e parenti fino alla sesta generazione, i quali scioccamente fanno a gara ad acquistare trenini elettrici, automobili sofisticate, aerei teleguidati, animali mostruosi, droni e monopattini elettrici, tutti doni ai quali il bambino dedica qualche giorno e poi disgustato butta via insoddisfatto.
Tutti gli oggetti del mondo meritano rispetto, tutto ciò che ci circonda, anche se fabbricato in serie è unico ed insostituibile. Anche un vestito fuori moda, un’automobile vecchia o una lavatrice che fa i capricci.
Il futuro è pieno di nubi, ma possiamo ancora sperare che qualcuno riuscirà a ritrovare, nel cuore della civiltà dei consumi, le virtù della civiltà contadina: la parsimonia, la sobrietà, la discrezione, l’amore per le forme ed il colore degli oggetti, la stessa avarizia. Saranno pochissimi, ma forse riusciranno a salvare il mondo. Il loro impegno riuscirà, non dico a fermare o a rallentare, ma almeno ad aprire un piccolo spazio vuoto, nella corsa intollerabile di ciò che molti credono sia il progresso.
Achille della Ragione