Giorni fa è stato presentato alla Feltrinelli di Napoli un monumentale volume, edito dalla Clean, su piazza del Plebiscito, da cui è scaturito un ampio dibattito, proseguito nei giorni successivi sulle pagine de Il Mattino, al quale hanno partecipato i maggiori cervelli della città, che hanno avanzato una serie di proposte per il rilancio della piazza, ombelico di Napoli.
Con me era presente un intellettuale marocchino, Soufiane Herragh(fig. 1), residente da anni in Belgio, il quale già anni fa si era battuto per la creazione di una moschea nella nostra città, proposta che fu accolta dai maggiori quotidiani cittadini,che la pubblicarono.
Nel momento in cui si è accennato fugacemente all’idea che la chiesa di San Francesco di Paola potesse divenire la casa di tutti i credenti delle tre religioni monoteiste è entrato letteralmente in fibrillazione per la gioia ed a pensarci bene l’idea potrebbe essere lo specchio della tolleranza che ha sempre caratterizzato l’animo dei napoletani, pronti ad accogliere il diverso e potrebbe costituire un prototipo per il futuro, facendo di Napoli l’avamposto della modernità.
Napoli è stata sempre giudicata una città porosa, non tanto perché poggia su di uno strato di tufo, che possiede queste caratteristiche, quanto per l’innata capacità di amalgamare i vari popoli che nei millenni l’hanno conquistata, a partire dai Greci ai Romani, fino agli Spagnoli, agli Austriaci ed ai Francesi.
I risultati di questa ultra secolare stratificazione è stata la creazione dell’animus del napoletano: socievole, pronto a fare amicizia, disponibile ad aiutare il forestiero ed a favorirne l’integrazione nel tessuto sociale.
Miti e tradizioni hanno subito una trasformazione che ne ha fatto dimenticare i caratteri originari. Un solo esempio fra tanti: la festa di Piedigrotta che, da rito pagano orgiastico in onore del dio Priapo, è divenuta prima una festa religiosa per scatenarsi poi, soprattutto in epoca laurina, in un’esplosione gioiosa di energie primordiali tra maestosi carri allegorici, coppoloni, mano morte, schiamazzi e trasgressioni di ogni tipo.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’estero, privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli argini come un fiume in piena.
Percorrendo Piazza Garibaldi o Piazza Mercato siamo sommersi dai suoni ma principalmente dagli odori di una città multietnica: kebab, couscous, pizze fritte e piede di porco, pesci marinati e trippa. Ma la sera, scomparsi gli ambulanti, cominciano a confluire razze di ogni tipo: magrebini, cinesi, rumeni, polacchi, somali, nigeriani, che si posizionano senza alcun tentativo di instaurare un principio armonico di convivenza.
Un grave problema mai seriamente affrontato è il rispetto della libertà di culto per stranieri di fede diversa dalla nostra, soprattutto islamici. Il sindaco De Magistris promise che sarebbero stati realizzati una nuova moschea ed un cimitero, ma fino ad oggi il luogo di preghiera è costituito, salvo una piccola moschea in Via Corradino di Svevia, dall’immensa Piazza Mercato dove il venerdì vi è una folla straripante(fig. 2) che ascolta le parole dell’Imam
Osservare un migliaio di ragazzi stranieri radunarsi per pregare in uno dei punti più antichi della città, teatro dei principali episodi della sua storia, ha fatto affermare a più di un visitatore che Napoli è la città araba più accogliente dell’Occidente, speriamo che presto possano riunirsi nella chiesa di San Francesco di Paola, in piazza Plebiscito, alternandosi con i fedeli di altre religioni.
Un sogno malizioso, ma non impossibile, che farebbe di Napoli il faro che indica al mondo la via della tolleranza e della fratellanza universale.