Bagno di folla per l’on. Umberto Ranieri, che ha presentato presso il teatro Sannazzaro di Napoli il suo ultimo saggio dal titolo “Napolitano, Berlinguer e la luna” (ed . I Grilli Marsilio).
«Il libro – ha spiegato l’autore – ha il dichiarato intento di fornire un approccio più veritiero e meno convenzionale alla vicenda politica che, dalla trasformazione del Pc in Pds, giunge fino al PD e all’impetuosa irruzione sulla scena nazionale di Matteo Renzi».
Notevole il parterre del pubblico in sala, tra i quali molti nomi noti tra le file dei piddini, e davvero interessante il confronto dialettico creatosi tra i relatori, tra i quali il giornalista Giuliano Ferrara, Enzo Amendola, membro della segreteria nazionale del Pd, il ministro della Giustizia Andrea Orlando e Umberto Minopoli, presidente dell’Ansaldo nucleare e dell’Associazione Italiana nucleare.
A moderare il dibattito, seguito da innumerevoli emittenti tv, è stato con la sua arguta dialettica e spirito critico, Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, che ha introdotto l’autore definendo il suo volume come un libro della maturità, ricco di citazioni dotte e di passaggi fondamentali della storia del partito comunista e della sua lenta ed inesorabile evoluzione, annotati con una lungimiranza stupefacente,grazie ai diari raccolti per anni dall’autore.
Così, il primo interrogativo che Demarco si è posto è stato: davvero i miglioristi del Pc, corrente della sinistra di cui Umberto Ranieri è stata espressione, sono arrivati troppo presto?
L’interrogativo è legittimo e costituisce anche il fulcro del libro, che si apre con una dotta citazione di Marguerite Yourcenar: “Aver ragione troppo presto equivale ad aver torto”: assioma inopinabile dal quale è partito il dibattito incentrato sui miglioristi del Pc, il loro precorrere i tempi, in quel lasso di tempo tra la metà degli anni 80 alla prima metà degli anni 90, nell’avvicinarsi al socialismo democratico.
Un esperimento, quest’ultimo, arduo, che vide tra i precursori l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Umberto Ranieri e Umberto Minopoli, che in quegli anni fu tra i primi a denunciare, non senza ripercussioni per la sua carriera all’interno del partito, la natura di regime totalitario del partito comunista, al pari di quello nazista.
A rievocare questi anni bui del partito comunista è stato lo stesso Minopoli che ha ricordato. «Negli anni del dopoguerra l’unico a porsi il problema di riformare il partito comunista è stato Amendola. I diari scritti e custoditi gelosamente da Umberto Ranieri costituiscono una risorsa formidabile per rievocare l’evoluzione del partito comunista e di quella socialdemocrazia che, sorta nel 58, ha tenuto fino agli anni 70, trovando il suo più grande limite del confronto con il governo americano di Regan e quello della Tatcher». Più diplomatica e anche distante la posizione di Giuliano Ferrara, che fu comunista fino agli anni 80 che, a proposito del comunismo dichiara: «Si può essere comunisti, o anche comunisti». E tornando ai giorni nostri e al riformismo incarnato da Renzi il ministro Orlando dichiara: «Il Pd non ha risolto il tema dell’identità».
Insomma il confronto è tra la svolta della Bolognina avvenuta il 12 novembre dell’89 ad opera di Achille Occhetto (all’indomani della caduta del muro di Berlino) e dai miglioristi del Pc, e quella attuale di Renzi, primo ministro in pectore, a proposito del quale Umberto Ranieri dichiara: «Renzi interpreta una nuova stagione del riformismo, in particolare perché mi sembra spinto dalla necessità di realizzare le riforme per far uscire il paese dai problemi in cui si dibatte. Si auspica che le sue riforme si rivelino, nel lungo periodo, efficaci e che coinvolgano anche il Sud Italia: non è possibile immaginare una ripresa economica del paese se il Mezzogiorno continua a decadere».