Un bambino palestinese sopravvissuto all’ennesimo bombardamento israeliano chiede piangente al medico che lo sta curando: “Sono morto o sono ancora vivo?”.
Il dottore lo rassicura, promettendogli che è vivo, ma il bimbo insiste: “Sono ancora vivo?”.
Che un bambino di cinque, sei anni si domandi questo è surreale, come surreale è ciò che sta accadendo nella striscia di Gaza: da dodici giorni sotto assedio e mentre Israele continua a sganciare centinaia di bombe su obiettivi civili, la comunità internazionale non fa niente per fermare il massacro del popolo palestinese.
L’intervento militare israeliano sarebbe dovuto essere una controffensiva all’azione di Hamas, invece sin da subito si è capito che l’obiettivo non erano i miliziani palestinesi, ma l’intera popolazione di Gaza.
Israele aveva invitato circa un milione di persone a lasciare le proprie case nel nord della striscia per recarsi a sud: con tale “Corridoio umanitario” si sarebbero salvate dalla morte.
Già in questo pareva esserci ben poco di umanitario, visto che non veniva detto né dove queste persone avrebbero trascorsole notti a seguire, né che le loro case sarebbero state comunque distrutte. Iniziato l’esodo dei palestinesi, Israele ha preso a bombardare il nord della striscia, nonostante nelle case fossero rimasti anziani, disabili e tutti coloro i quali non avevano potuto intraprendere il cammino a piedi verso sud.
Poi le bombe sono cadute indiscriminatamente su tantissime parti della striscia, finanche sulle persone che si erano messe in marcia per salvarsi. Gli obiettivi delle bombe? Case, scuole, moschee. Addirittura l’ospedale è stato preso di mira e bersagliato.
Per il momento il bilancio è tremendo: 3.500 palestinesi morti, incluso un numero vertiginoso di bambini, 12.000 feriti, almeno 250.000 rimasti senza casa. E mentre i palestinesi indifesi stanno morendo intrappolati all’interno della striscia di Gaza dalla quale non possono uscire, Netanyahu ha tagliato le forniture di acqua, cibo, medicinali, carburante ed elettricità, lottando affinché il varco di Rafah rimanesse chiuso per non permettere ai feriti palestinesi di andarsi a curare nel vicino Egitto.
Parlare di azione militare è inappropriato, questo è a tutti gli effetti un genocidio e i responsabili di tale mattanza dovrebbero finire tutti dinanzi alla Corte Penale Internazionale. Ci si aspetterebbe una condanna unanime dei crimini di guerra commessi da Israele (ad esempiol’uso del fosforo bianco gettato sulle persone) ed un sostegno concreto ai palestinesi ed invece pare accadere proprio il contrario. Bandiere con la stella di David compaiono un po’ ovunque nelle sedi delle istituzioni occidentali, mentre contemporaneamente si lavora per ammutolire le voci in favore dei palestinesi.
Vengono vietate le manifestazioni pro-Palestina in Francia, Germania e Stati Uniti. Viene revocato l’invito alla fiera del libro di Torino allo scrittore Patrick Zaki a causa della sua critica alla politica di Netanyahu, così come, per gli stessi motivi, Moni Ovadia si vede costretto a dimettersi dall’incarico di direttore del teatro comunale di Ferrara.
A Francoforte viene sospeso il premio alla scrittrice palestinese Adania Shibli per dare spazio a una voce israeliana. E mentre ad un europarlamentare viene intimato di svestire la kefiah che indossa, Ursula von derLeyen, in perfetta sintonia con le posizioni statunitensi, si reca a Tel Aviv dichiarando: “L’Europa è dalla parte di Israele”.
Il conflitto di per sé sarebbe facilmente risolvibile, basterebbe rispettare le risoluzioni dell’ONU che indicano due punti: il riconoscimento di uno stato palestinese e il ritiro incondizionato delle truppe israeliane dai territori occupati illegalmente da troppi decenni; tuttavia, pensare alla risoluzione della guerra israeliana-palestinese in questo momento non è prioritario, urge con maggiore impellenza che sia fermata l’azione criminale di Netanyahu e il massacro di un popolo inerme!
I governi che non prenderanno una posizione chiara a tal riguardo dovranno necessariamente essere considerati complici.
di Davide Inda