Le leadership “calate” dall’alto, le cooptazioni o le investiture “regali”, non interessano proprio più a nessuno. La storia recente ha dimostrato chiaramente che la gente vuole partecipare attivamente, vuole sentirsi parte in causa. Vuole dire la sua.
In tanti nel centrodestra parlano di primarie, sia in merito ai programmi che con riferimento ai ruoli potenziali… Alcuni ne parlano seriamente. Altri lo fanno in modo chiaramente confuso e strumentale. Come la Meloni, per esempio, che non fa altro che mettere pali e paletti tutte le volte che “qualcuno” decida di farsi avanti. Le primarie saranno oggettivamente la chiave di volta per il centrodestra, a condizione che si facciano veramente e seriamente, però… Impariamo dall’Inghilterra, per esempio, provando (finalmente) a volare alto, non dimenticando (mai) un oggettivo dato di partenza: il popolo é confuso, distratto, poco partecipativo, non ci crede più, e succede ad ognuno di noi, purtroppo. La politica continua ad essere vista come qualcosa di estraneo: come la solita “pastetta” condita dal “vabbé, che mi applico a fare: tanto faranno sempre i comodi loro”.
Nel centrodestra, una nuova fase ed una nuova leaderschip, sono cose oggettivamente necessarie: tutto è drammaticamente stantio, vecchio, superficiale e distaccato. Personalmente preferirei che fosse la Carfagna il nuovo leader dal quale (ri)partire. La ritengo una donna preparata, intelligente ed appassionata. Una donna che non ha dimostrato il ben che minimo imbarazzo nel girare per i quartieri più poveri di Napoli nell’ultima campagna elettorale (per esempio). Schietta e dal preciso, ficcante – e nello stesso tempo, mai “spocchioso” – “tono istituzionale”. Anche il suo primo intervento in seno al Consiglio Comunale di Napoli, le ha rimarcate tutte le specifiche virtù. “Una” che “arriva” e che la comunicazione la conosce bene, insomma.
Ma è un’idea. “La mia personalissima idea”: se “primarie dovranno essere”, che sia il popolo del centrodestra a discutere, ragionare, appassionarsi e decidere. Nel nostro Paese c’è poca cultura (soprattutto politica: molti politici addirittura ne sono privi). C’e’ scarsissima capacità di coinvolgimento delle masse. C’è poca tensione positiva verso gli altri. Si ragiona per classi intermedie: i ventenni parlano tra loro; i trentenni ragionano nel loro specifico mondo; i quarantenni si danno alla competizione “da ultima spiaggia”; tutti gli altri, osservano, disillusi, distratti. A volte provano ad insegnare cose nuove…
Mondi paralleli e distanti, purtroppo. Ognuno coltiva il proprio orticello, la propria “apparenza social”, l’accreditamento mediatico fatto di facce, faccine e faccette. Nulla di male, ovviamente, nel (ri)cercare un po di sana visibilità. I social, però, non sostanziano il consenso. Al massimo danno un po di notorietà, una notorietà effimera che, in certi casi, purtroppo, non soltanto disegna dei tristissimi scenari di nicchia chiusi in sè stessi, ma rischia (anche, e per l’effetto) di determinare varchi profondi e distanze che potrebbero diventare (addirittura) incolmabili.
Comunque sia, se proprio si vogliono usare i social, bisogna farlo con leggerezza, “con simpatia”: i posti dove spararsi la posa “accademica” (se proprio lo si ritenga necessario) sono altri… Coi social si comunica: non si fanno, né le competizioni culturali, né (tanto meno) “la politica”… Però si può provare a parlarne. A parlarsi. A fortificate la divulgazione delle idee: basta saperlo fare… Nelle more, un “mare sparso”. Vialoni di immensa indifferenza… Forse, troppi like(s), fanno male…