La sintesi di quello che sta avvenendo negli orientamenti elettorali degli italiani l’ha fornita Ilvo Diamanti su Repubblica: “Secondo le stime di Demos il Pd ha superato di nuovo il M5S. Di poco. Un punto solamente. Sufficiente però a cambiare le gerarchie elettorali”.
Diremmo noi che cambia il quadro “psicologico”, liberando il Pd – che si era visto scavalcato da un M5S che pareva inscalfibile – dalla grande paura seguita alla sconfitta referendaria del 4 dicembre.
Secondo le stime di Demos, infatti, il Pd ha nuovamente superato il M5s. Di poco. Un punto solamente. Sufficiente, però, a cambiare le gerarchie elettorali fra i due soggetti politici principali, dopo il declino di Silvio Berlusconi e del suo partito. I quali, tuttavia, resistono. Forza Italia, infatti, è stimata oltre il 13% e la Lega di Salvini le è vicina. Così si ripropone una triangolazione, per alcuni versi, simile a quella emersa dalle elezioni politiche del 2013. Quando Pd, M5S e Forza Italia – insieme alla Lega – avevano conquistato una quota di elettori molto simile. Intorno al 25%. Naturalmente, molto è cambiato da allora. Anzitutto, gli equilibri tra Fi e Lega. Nel 2013 la Lega, guidata da Roberto Maroni, superava di poco il 4%, mentre il Pdl intercettava quasi il 22%. Poi, ovviamente, è cambiato il volto del Pd. Proposto, allora, da Bersani, oggi da Renzi. Mentre il M5s ha ancora il profilo di Grillo. Ma ha consolidato la sua presenza nel Paese. Visto che, nel frattempo, ha conquistato, fra l’altro, il governo di Roma e Torino. Due Capitali (anche se in senso diverso). Questo scenario è confermato dalle stime di voto degli altri partiti. A destra di Fi, come a sinistra del Pd, si osserva un complessivo arretramento. I soggetti politici di Centro, infine, occupano uno spazio quasi residuale. Schiacciati dai tre “poli” maggiori. Che, nel sondaggio, intercettano oltre l’80% dei voti. Questo assetto, però, appare tutt’altro che strutturato. Soprattutto a Centro-destra, dove l’asse tra Fi e Lega è messo in discussione. Dalla Lega di Salvini.
I motivi della ripresa del Pd sono a nostro avviso quattro.
1. Il “combinato disposto” ritorno di Renzi-scissione dell’ala dura-accettazione del risultato delle primarie da parte di Orlando e Emiliano risponde a quello che militanti e elettori del Pd vogliono: saldezza di leadership e meno conflittualità interna.
2. La scissione, dopo un primo momento, è stata assorbita. Mdp, secondo i sondaggi, è sul 3-4%: non pochissimo ma neppure quello che una nuova forza politica, col suo carico di novità, può portare a casa. Né va molto meglio a Sinistra italiana. Già punite dal “voto utile”: un riflesso dell’elettorato ormai ineliminabile.
3. L’affluenza alle primarie, ancorché notevolmente più bassa della volta precedente, ha segnalato che il Pd è una realtà vera che può contare su decine di migliaia di attivisti (per le primarie si sono mobilitate circa 80mila persone): nessun partito può altrettanto.
4. Probabilmente un effetto-Macron, a livello psicologico oltre che politico, c’è stato. Nel senso che la schiacciante vittoria della cultura di governo contro l’estremismo che si è avuta in Francia aiuta anche da noi chi mostra una maggiore affidabilità e competenza.