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NICODEMO:”Il Trump candidato e il Trump presidente sembrano coincidere almeno dalle prime affermazioni”

di Francesco Nicodemo
Vi ricordate quando eravate a scuola durante quelle giornate in cui c’era da studiare un argomento che non piaceva particolarmente. Allora ci si trovava lì malvolentieri con il libro davanti a sottolineare e a rileggere. A me di solito questa reazione capitava soprattutto all’inizio, dopo un po’ mi accanivo a voler capire con una convinzione ancora maggiore.

Venerdì mi è ritornata la stessa sensazione durante la visione dell’inaugurazione della presidenza Trump. Sarebbe stato inutile rifiutarsi di assistere oppure guardare con delusione, gli eventi sono questi e vanno compresi a maggior ragione ancora di più. Perché gli Americani hanno trovato convincente il suo messaggio? Perché dopo Obama si è materializzata una presidenza totalmente antitetica? E ancora, cosa sta accadendo in giro per il mondo? Prima di illuderci di avere le risposte o peggio ancora, prima di dire con atteggiamento spocchioso che non hanno capito nulla, cerchiamo di riflettere.

Trump ha parlato di confini da difendere, quelli americani, ha parlato di costruzione di strade e infrastrutture. Ha detto che due sono le regole da seguire: comprare americano e assumere americano, affermazione questa che va sotto l’etichetta del protezionismo. Prima l’America nel modo più severo possibile, difendendo i confini nazionali ma anche le produzioni interne, i posti di lavoro e smettendola di far arricchire gli altri, come è stato evidenziato nell’articolo del New York Times di David E. Sanger dall’evocativo titolo «Con echi degli anni ’30 Trump fa risorgere una visione dura dell’America prima».

In effetti, mi ha fatto ripensare al Complotto contro l’America di Philip Roth. All’inizio mi ero illuso di vedere un Presidente Trump in parte differente dal candidato Trump, nel passaggio in cui ha ringraziato gli Obama per come è stata gestita la transizione democratica del potere. La mia illusione però è durata pochissimo e mi sono ricordato che stavo seguendo non per arrivare a facili conclusioni ma per capire.

Come interpretare allora la frase in cui ha detto che quello non era il giorno del trasferimento del potere da un’amministrazione all’altra, o da un partito all’altro ma da Washington al popolo? Volendo usare un’altra etichetta, la risposta non è difficile, gravita intorno al populismo ed è tutta lì nella contrapposizione tra l’élite e la gente, con la prima che si sarebbe arricchita e la seconda inesorabilmente dimenticata.

Mentre mi fermavo a ricordare i risultati della amministrazione Obama, nel frattempo continuavano le parole di Trump, che diceva «non importa quale partito controlli il Governo perché ciò che conta è che il Governo stesso venga controllato dal popolo», aggiungendo che con lui gli uomini e le donne dimenticati non lo saranno più. Un richiamo ancestrale al popolo, in contrapposizione con la parola cittadini, cosi tante volte usata da Obama. Benvenuti nel turbopopulismo dunque, per usare una straordinaria espressione usata dal professor Mazzoleni su Twitter. Nel discorso infatti, si è sentita la stessa retorica ascoltata durante la lunga corsa che lo ha portato alla Casa Bianca. Come sottolineato dal Washington Post nell’articolo di James T. Kloppenberg, la sua è una figura che non ha precedenti.

I Presidenti nei propri discorsi hanno offerto di solito una visione per tenere unita la Nazione e la popolazione attorno a dei valori comuni. Il tycoon invece ha offerto un quadro cupo del Paese. La sua visione del sogno americano è davvero orientata all’egoismo e all’isolamento, come scrive Kloppenberg? Il Trump candidato e il Trump presidente sembrano dunque coincidere almeno dalle prime affermazioni, eppure mentre su twitter l’account personale riproponeva i passaggi più rilevanti del suo discorso, l’account presidenziale, complice il numero ancora inevitabilmente basso di follower almeno nelle prime ore, è rimasto vuoto per un po’ prima di vedere comparire il primo tweet con il link al post Facebook dell’intera trascrizione delle parole che hanno seguito il giuramento e poi altri contenuti.

In quel momento è sembrato quasi che Trump stesse continuando a comunicare ai suoi sostenitori, non all’i n te r a Nazione. Anche nell’editoriale del Guardian di ieri si dice tra le altre cose che quel discorso sembrava ancora rivolto soltanto a chi ha votato per lui, non a tutto il resto della popolazione. E mentre Trump terminava il suo discorso, breve e pieno di interrogativi e domande inevase, sui social network nel frattempo scorrevano immagini nostalgiche di Barack e Michelle Obama condivise da molte persone. Hanno ragione, ci mancheranno, ci mancherà. Ma molliamo in fretta la nostalgia, perché se c’è un modo di mettere in pratica la sua lezione è credere che il cambiamento dipenda da noi. Da adesso. Dovunque siamo. Chiunque siamo. Anche nella notte più scura.

*quotidiano L’Unità 22 gennaio 2017

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