Insegnante per 37 anni, pensavo di aver condiviso tutte le esperienze umane possibili con i ragazzi adolescenti. Ma mi sono dovuta ricredere quando sono entrata come volontaria nella comunità pubblica di Nisida. Credevo di conoscere già tutto riguardo emozioni, insofferenze, delusioni, rabbia che tante volte avevo colto nei miei giovani allievi. Non era così. Nei giovanissimi ospiti della comunità, incontrati nel corso di otto lunghi anni, ho colto si gli stessi sentimenti “adolescenziali” ma vissuti ed ingigantiti all’ennesima potenza da esperienze di vita e da contesti sociali e familiari a me quasi del tutto estranei perché mai conosciuti così da vicino. In una lettera scritta al quotidiano “La Repubblica” , qualche anno fa, parlando dei miei “nuovi” ragazzi li definivo “figli di un dio minore”. Sì, proprio così, perché spesso senza famiglie alle spalle, senza guida alcuna e costretti a vivere la quotidianità violenta di quartieri dimenticati e lasciati a se stessi. Entrare nelle loro vite e nei loro cuori mi ha fatto bene e, nonostante l’ età già matura, mi ha aiutata a “crescere” e mi ha educato meglio e diversamente alla comprensione, all’ascolto e alla considerazione. A Nisida ho incontrato persone eccezionali negli operatori e negli educatori, il cui lavoro, nel corso di questi lunghi anni, ho imparato ad ammirare ed apprezzare perché hanno dato sempre il massimo di se stessi avvicinandosi ai ragazzi con rispetto e grande umanità.
Ebbene dal 29 maggio 2015, così da un momento all’altro, “qualcuno” si è arrogato il diritto (!) di chiudere la comunità di Nisida mandando allo sbando tutti e tutto. Ma com’è possibile in questa Italia di “ladroni” (vedi la mafia di Roma capitale) pensare di privare giovani a rischio della possibilità di recuperare la fiducia in se stessi e negli altri? Sì, perché è proprio questo che gli educatori e operatori hanno fatto finora. Non si sono mai messi su un piedistallo a giudicare, né eretti a Don Chisciotte di fronte alla varia e giovane umanità che gli si presentava, ma si sono sempre avvicinati ai ragazzi con spirito di abnegazione e con una sensibilità fuori dal comune in tempi in cui si tende a prevaricare ed ignorare. Non si può essere così ottusi anche in una società come la nostra che potrà dirsi civile ed umana solo quando avrà recuperato, attraverso il lavoro di persone come queste, fino all’ultimo ragazzo disagiato dandogli la forza e la capacità per poter ancora credere e sperare in un futuro migliore.