Il Premio Nobel 2021 per la Letteratura va a Abdulrazak Gurnah: è la prima volta che un cittadino della Tanzania riceve l’onoreficenza. Gurnah da tempo vive e lavora in Gran Bretagna. Tra i suoi romanzi famosi Paradise (1994), By the Sea (2001) e Desertion (2005). L’accademia svedese ha attribuito il premio “per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti”.
L’attività letteraria
Arrivato in Gran Bretagna, dove tutt’ora vive, come rifugiato alla fine degli anni ’60, Gurnah (73 anni), è autore di dieci romanzi e di una serie di racconti, tutti attraversati dalla questione del rifugiato e nei quali ha stravolto la prospettiva coloniale per evidenziare quella delle popolazioni indigene.
La fuga dalla Tanzania
Nato nel 1948 e cresciuto sull’isola di Zanzibar, nell’Oceano Indiano, Gurnah apparteneva al gruppo etnico vittima dell’oppressione sotto il regime del presidente Adeid Karume e dopo aver terminato la scuola è stato costretto a 18 anni a lasciare la sua famiglia e a fuggire dal Paese, allora la neonata Repubblica di Tanzania. Solo nel 1984 gli è stato possibile tornare a Zanzibar dove ha potuto rivedere suo padre poco prima della morte.
I romanzi più famosi
Gurnah è stato, fino al suo recente ritiro dall’attività lavorativa, professore di letteratura inglese e postcoloniale presso l’Università del Kent a Canterbury. I suoi romanzi più famosi sono “Paradise” e “By the Sea”. Gurnah ha iniziato a scrivere a 21 anni in esilio, in inglese, e anche se lo swahili era la sua prima lingua, l’inglese è diventata la sua lingua letteraria. Ha debuttato nel 1987 con Memory of Departure.
Gurnah: “I migranti sono una ricchezza” “Ho pensato che fosse uno scherzo – ha affermato Gurnah commentando il Nobel -. È stata tale la sorpresa che ho aspettato fino a quando l’ho sentito annunciare prima di poterci credere”, ha detto ancora, in un audio pubblicato nel sito web della Fondazione Nobel. Lo scrittore ha poi invitato l’Europa a considerare i rifugiati dall’Africa come “una ricchezza”, sottolineando che non arrivano “a mani vuote”. “Molte di queste persone che vengono, fuggono per necessità, e anche francamente perché hanno qualcosa da dare”