Ogni volta che un ragazzo o una ragazza lascia la scuola, ogni volta che un giovane smette di credere nel proprio futuro, a fallire è un’intera comunità. Sono ancora tanti, troppi, i casi di dispersione scolastica. E non solo. Sempre meno si parla di violenza sui minori che, può assumere forme diverse: abusi, sfruttamento, abbandono. Questi eventi causano gravi ripercussioni sulla salute fisica e psicologica dei bambini.
Succede in tutta Italia, da nord a sud, in aree dove l’offerta educativa è carente, mancano i luoghi di aggregazione e c’è disagio sociale. Proprio da questi luoghi parte la scommessa di “Non vedo, non sento, non parlo”, selezionato dall’Impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, e promosso dalla cooperativa sociale La Goccia di Avellino, in collaborazione con enti partner delle 5 province campane.
Oggi, a Napoli, presso la Sala Amiri del Palazzo Armieri si è tenuta la presentazione del progetto, che nasce in risposta al fenomeno della violenza sui minori e che ha l’obiettivo di creare e promuovere una rete integrata per garantire risposte e interventi. “Noi siamo una piccola associazione. Il nostro obiettivo è quello di fornire un servizio competente e che possa facilitare la reintegrazione di questi bambini e per contrastare con un aiuto mirato questi diversi tipi di violenza e impedire che proseguano.” Così, Rosario Giovanni Pepe, Presidente Cooperativa Sociale “La Goccia”, ha presentato quelli che sono gli obiettivi di questo progetto.
“La povertà educativa priva i bambini e i ragazzi della possibilità di apprendere, sperimentare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. Bambini e ragazzi che vivono in contesti senza servizi o che devono rinunciare ad una adeguata offerta formativa per ragione economiche. Tra le conseguenze ci sono l’esclusione in partenza dalla società e dal mondo del lavoro, l’assenza di relazioni tra pari, l’impossibilità di andare alla scoperta di se stessi e del mondo. L’anno pandemico ha gravato ancor di più su questi fattori, per non parlare delle violenze che subiscono questi bambini, molto spesso la scuola può essere un salva vita. Proprio per questo, quando ho letto il nome di questo progetto è stato come un pugno allo stomaco. Io e la Regione Campania saremo sempre dalla parte dell’istruzioni e tutti gli attori che danno la possibilità di poter cambiare alcune realtà” Così, l’Assessore Istruzione, Politiche Giovanili, Politiche Sociali, Regione Campania, Lucia Fortini è intervenuta durante la presentazione.
Alle sue parole si è allacciato anche il Presidente Impresa Sociale “Con i bambini”, Marco Rossi Doria che ha detto: “Noi non sostituiamo la politica pubblica. Perché, noi grazie alla politica riusciamo e fomentiamo la ricerca con progetti che possa stimolare.
Cosa ci aspettiamo da questo progetto? Di capire onestamente quello che possiamo trasferire nelle politiche pubbliche e quelle che non riusciamo. Dobbiamo lavorare in modo circolare e capire la valutazione d’impatto. Stiamo cercando di mettere in atto un gruppo che possa lasciare qualcosa di grande al territorio della Regione Campania. Sono sicuro che questo progetto ci darà tante soddisfazioni, una cosa che ci ha convinti, tra tante altre associazioni è la loro genuina bravura”.
Non è mancato anche il commento di Samuele Ciambriello, Garante dei diritti dei detenuti, Regione Campania che ha voluto ricordare: “Come tutti sanno, io mi occupo di carceri e detenuti, ebbene quando parliamo di maltrattamento non s’intende solo quello fisico ma anche quello di mancanza relazionale. Nei carceri la mancanza relazionale è quasi certa. Basti pensare che una donna al nono mese di gravidanza è stata mandata in carcere non per reato associativo, non per omicidio e il medico che c’era di guardia l’ha lasciata partorire in cella. E non solo, vi parlo del periodo PRE COVID, 8000 ragazzi al di sotto dei 12 anni in media, vanno a trovare i genitori nelle carceri, se andate davanti a Poggioreale vedete questa fiumara di persone che aspettano per avere un’ora di affettività. Allora ben vengano questi progetti, perché ci aiutano a comprendere anche il termine “maltrattante”. Il maltrattante che non viene in parte aiutato a recuperarsi e non educato durante il carcere all’uscita completa il suo lavoro, oppure, continua ad avere il suo comportamento di odio e violenza. Dunque il nostro obiettivo è quello di liberare questi minori per renderli degli adulti più responsabili.”
Dunque, la comunità educante potrebbe essere la soluzione per cancellare con un colpo di spugna povertà educativa e dispersione scolastica. Troppo spesso questi fenomeni vengono ridotti a due attori: alunni e insegnanti. La vera rivoluzione è considerare l’educazione una questione che coinvolge tutta la comunità. Una comunità che diventa appunto “educante” e che si concretizza nella rete di soggetti che, in un determinato territorio, decide di assumere una responsabilità condivisa per la crescita dei bambini, delle bambine e degli adolescenti.
Costruire una Comunità educante vuol dire quindi impegnarsi per rigenerare il territorio, a partire dai diritti dei bambini, promuovendo la bellezza, l’inclusione e l’accoglienza, la legalità, la cultura, l’ambiente, la valorizzazione delle differenze, la cittadinanza attiva.