“L’embargo finirà. Non so ancora dire quando, ma USA e Cuba torneranno a parlarsi. Sono venuto qui con una rosa bianca, un’offerta di pace”.
Con queste parole, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, firma una nuova pagina di storia, un ultimo capitolo del complicato rapporto tra la democrazia a stelle e strisce, e il regime comunista di Castro.
Erano gli anni 60 quando gli States sancirono, di fatto, la chiusura di ogni rapporto commerciale e finanziario con L’Havana. Oltre cinquanta anni dopo, il disgelo sembra davvero possibile.
Già nel 2009, a dire il vero, il Presidente Obama aveva alleggerito il provvedimento restrittivo, riaprendo ai viaggi e allo scambio di denaro tra i due Paesi. Inoltre, poco più di un anno fa, nel dicembre 2014, il leader americano e Raul Castro annunciarono la fine della Guerra Fredda e la riapertura delle relazioni diplomatiche tra i due Stati separati da lunghissimi 166 chilometri di mare.
Quella del Presidente Obama in territorio cubano è, quindi, davvero da considerarsi una visita senza precedenti. Basti pensare che un leader statunitense non metteva piede sull’isola da ben ottantotto anni. Aggiungeteci le note di “The Star-Spangled Banner” suonate sullo sfondo della fotografia di Che-Guevara, nel tempio della rivoluzione castrista, e capirete che una svolta epocale nei tesi rapporti tra Cuba e Usa sembra davvero possibile.
Il nodo principale della disputa restano i diritti umani. Obama invita Castro ad aprire alle nuove tecnologie, a internet, al libero pensiero per la sua popolazione. “Su questo punto, restano le principali differenze tra i nostri governi”.
Raul Castro strizza l’occhio al cambiamento, rivendica il territorio di Guantánamo, auspicandone la liberazione, chiede a gran voce l’interruzione totale dell’embargo, sottolinea come, sul suolo cubano, la cultura, l’istruzione e la sanità siano al centro del programma di governo.
I due dialogano, si pungono, convergono nel sottolineare l’importanza dell’intervento di Papa Francesco nella ripresa dei rapporti, infine, si concedono alla gente curiosa e entusiasta, speranzosa.
“È l’inizio di un giorno nuovo”, sostiene il capo della Casa Bianca, lasciando L’Havana. “Spero in futuro di poter incontrare Fidel”.
Già, Fidel. Se per il giovane fratello Raul, il passato, come auspicato da Obama, può passare alla storia, in direzione di un futuro quantomeno più elastico sull’asse Cuba – States, il Leader Maximo non è dello stesso avviso e, con una nota scritta, non tarda a dar voce ai suoi pensieri in merito.
Cita, appunto, la storia, le stragi compiute dagli americani, le umiliazioni subite dal suo popolo, rivendica il ruolo fondamentale proprio di Cuba nella svolta per i diritti umani in tutto il Mondo tramite la rivoluzione.
“Si suppone che ognuno di noi correva il rischio di un infarto ascoltando le parole del presidente degli Stati Uniti. Dopo un vergognoso blocco (economico, finanziario e commerciale) che dura da quasi sessant’anni, e tutti quelli che sono morti in attacchi mercenari a barche e porti cubani, un aereo di linea colmo di passeggeri fatto esplodere in pieno volo, invasioni mercenari, molteplici atti di violenza e forza?
Nessuno s’illuda che il popolo di questo nobile e sacrificato paese rinuncerà alla gloria ed ai diritti, alla ricchezza spirituale conquistata con lo sviluppo dell’istruzione, della scienza e della cultura.
Faccio notare, inoltre, che siamo capaci di produrre gli alimenti e le ricchezze materiali di cui abbiamo bisogno con lo sforzo e l’intelligenza del nostro popolo.
Non abbiamo bisogno che l’Impero ci regali nulla. I nostri sforzi saranno leciti e pacifici, perché è il nostro impegno per la pace e la fratellanza di tutti gli esseri umani che vivono su questo pianeta.”
Per un Barack Obama che saluta Cuba traducendo il suo motto nella lingua locale “Si, se puede” (“Yes we can”, slogan della sua campagna elettorale), c’è un Fidel Castro che, anche a dispetto del leader attuale, il fratello Raul, sembra non voler cedere un solo centimetro di ciò che ha imposto, poi guadagnato attraverso il suo regime anche contro tutti i limiti a cui Washington l’aveva sottomesso. La storia, almeno finché il Leader Maximo sarà in grado di controllarla, pare destinata a non evolversi radicalmente in tempi troppo brevi.
Chissà quale sarà il prossimo capitolo e a chi toccherà provare a scriverlo. Obama ha tracciato la via, eppure, potrebbe non bastare.