Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, riunito in sessione a Ginevra, ha approvato all’unanimità una nuova risoluzione sull’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili nel mondo. Il testo, promosso da un gruppo di paesi africani, esprime la «forte condanna della comunità internazionale, per la pratica di tale barbarie che costituisce una forma di tortura o maltrattamento ed una minaccia al pieno esercizio di diritti e libertà fondamentali di donne e ragazze». E’ un passo avanti molto importante nella lotta contro una grave forma di violenza contro le donne. L’abolizione di questa pratica rappresenta una delle priorità dell’azione internazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani nonché un punto importante per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030.
Nonostante in molte nazioni risultino ufficialmente illegali, si calcola che oggi circa 200 milioni di donne e bambine vivono con queste mutilazioni e che 4,1 milioni siano a rischio di subirne nel 2020. La procedura, come denunciano molte ONG impegnate nello sradicamento del fenomeno, si svolge principalmente durante l’infanzia o la preadolescenza e rappresenta una grave violazione dei diritti alla salute. Le conseguenze possono essere gravissime sul piano fisico e psicologico. La pratica delle mutilazioni è molto diffusa in Africa. Si calcola che attualmente circa il 90 per cento delle donne sia sottoposta a queste forme di violenza soprattutto in Somalia, Guinea, Sierra Leone, Eritrea, Egitto e Sudan. Numeri preoccupanti sono registrati anche in Asia e in Medio oriente, in paesi come l’Indonesia, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Malesia. Con questa sessione delle Nazioni Unite, si auspica che tali pratiche possono diluirsi sempre più.
A cura di Raffaele Fattopace