Dopo tre anni di crisi economica locale e globale, l’Osservatorio permanente sul Doposisma ha aggiornato i dati raccolti nel 2011 nel dossier “La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud”, e relativi al numero di addetti impiegati e di aziende ancora attive nelle aree industriali nate dall’art. 32 della legge 219/80. Si tratta dei 20 insediamenti produttivi industriali sorti nelle province di Avellino, Salerno e Potenza grazie alla concessione di contributi a fondi perduto promossa dalla legge per la ricostruzione e che secondo i migliori auspici avrebbero dovuto dare lavoro a circa 14mila persone tra operai e impiegati per un totale di 255 nuove aziende. Le intenzioni si scontrarono però nel giro di pochi anni con politiche non di lungo corso che si affidarono al caso per la scelta dei settori produttivi e non fissarono paletti sulla titolarità delle fabbriche: su 50 consorzi solo tre erano gestiti da imprenditori locali. Le aree inoltre erano troppe vicine tra loro e salvo alcuni casi era servite male dal punto di vista infrastrutturale e viario.
“Nel dibattito che anticipò la legge di ricostruzione (la 219/80) tutti sembravano d’accordo sul fatto che la ricostruzione urbanistica da sola non bastasse; era necessario un piano per lo sviluppo e il lavoro che risollevasse le sorti di questi territori e che li ricompensasse in parte della storica arretratezza – si legge nel dossier dell’Osservatorio – Il terremoto diventò presto il canale attraverso il quale si perpetuava l’assistenza straordinaria, ma anche passiva delle aree deboli del Paese [..] il punto non era più una sollecita ricostruzione bensì l’ottundimento di finanziamenti i più ingenti possibili e per un periodo di tempo il più lungo possibile, ma il 60% degli imprenditori chiese di andare in solo 5 aree”.
Se i dati dell’Osservatorio già tre anni fa evidenziavano che la capacità occupazionale dei venti insediamenti era più che dimezzata, oggi dopo altri tre anni di dura crisi nel complesso si sono perse ulteriori 300 unità lavorative. Nel triennio 2011-2014 gli effetti negativi della crisi si sono concentrati soprattutto sulle aree della 219 delle province di Avellino (da 3409 a 3275) e di Potenza (da 1846 a 1723), meno su quella di Salerno dove le industrie presenti sono addirittura aumentate e agli addetti sono calati solo di trenta unità. “I numeri citati sono approssimati per eccesso – spiega Stefano Ventura, storico e ricercatore dell’Osservatorio – Contengono ad esempio i lavoratori in cassa integrazione. La provincia di Salerno testimonia un calo nell’area di Buccino e un incremento nelle altre, ma fatto di piccole aziende senza un disegno complessivo, senza distretti”.
Altro dato interessante è quello che vede le aree irpine perdere complessivamente 130 posti di lavoro nell’ultimo triennio, ma aumentarli nello specifico a Calabritto, al Calaggio, a Morra De Sanctis e a San Mango che ospitano realtà industriali consolidate. “La crisi in Irpinia si fa sentire da prima del 2011 – continua Ventura – e casi come Ema, Ferrero, Zuegg o Desmon che fanno da traino e sono positivi, costituiscono eccezioni”. Nonostante le difficoltà comunque attualmente le aree irpine sono quelle che più si avvicinano all’obiettivo fissato un trentennio fa, tenendo conto che è impiegato circa il 75% del totale addetti previsti. “Questo aggiornamento (che sfrutta dati Asi) andrebbe migliorato – conclude scettico il ricercatore irpino – ma al momento non ci sono né interlocutori né menti o energie per fare analisi, ricerca o cultura in un’area come la nostra”.