Da diverso tempo ho avvertito da parte di volontari ed impegnati a diverso titolo per i bisogni e diritti dei Rom una diffusa difficoltà di comprensione per la diversità delle famiglie Rom che vivono con noi al di là della strada e con cui abbiamo diverse interazioni non solo assistenziali ma di ascolto ed incontro umano specialmente con donne e bambini. In ogni caso nel nostro cammino di vita a Scampia sono “Compagni di viaggio” con le loro difficili esperienze precedenti di vita ed attuali condizioni precarie dopo due/tre decenni di permanenza sul nostro territorio. Per evitare superficialità e presunzioni nel nostro incontro e generoso aiuto dovremmo meglio aver presente la loro condizioni di oppressione ed esclusione nei paesi di provenienza, l’emigrazione forzata in Italia negli ultimi due/tre decenni e la loro particolare sistemazione nei c.d. “campi nomadi” rispetto ad altre esperienze paesi d’Europa che ha fatto dire denominare dagli studiosi il nostro paese come “campland”, in baraccopoli legali o abusive in condizioni di ghettizzazione, degrado e precarietà spesso ai margini degli abitati. E’ noto da parte di studiosi e direttive europee e nazionali che tale sistemazione in campi va superata per promuovere un’autonomia abitativa di questi gruppi con una pluralità di soluzioni abitative, che trova difficoltà di realizzazione specialmente da parte del Comune partenopeo per ritardi culturali e resistenze amministrative e politiche. E non ottemperanza delle direttive europee in merito al diritto dei Rom ad una abitazione dignitosa (cfr.Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti, 2012-2020)
Senza voler dare lezioni ad alcuno, in questa interazione con loro fondamentale è la classificazione esplicita o implicita che ne facciamo, cioè come li consideriamo e trattiamo a partire dalla nostra visione dell’uomo e del mondo che va messa in questione, poveri, bisognosi, cittadini stranieri, in molti casi apolidi, immigrati e forse rifugiati nel caso di Cupa Perillo dalla dissoluzione dei paesi della ex-Jugoslavia, in ogni caso UMANI soggetti di diritti e doveri, ecc. Fa questione in questa convivenza ed interazione la loro “alterità”, diversità di concezioni e stili di vita, forse nel nostro ambiente si configurano come l’ALTRO per antonomasia da riconoscere ed accogliere, talora come il “deviante” dai nostri modi di vivere, regole sociali, quasi dei “fuorilegge” nel caso di traffici e comportamenti più o meno legali da parte di maschi che restano spesso in ombra. Al di là delle legittime diversità culturali delle etnie di provenienza, fa problema la non osservanza delle regole mainstream cioè ufficiali, riconosciute socialmente e spesso anche da noi inevase, cioè della way of life dei paesi europei sviluppati vissuta all’italiana. Come ho già scritto in un precedente contributo, occorre elaborare le differenze culturali (concezioni, atteggiamenti, comportamenti, stili di vita, ecc.) per una loro comprensione ed accoglimento non acritico che nello scambio può portare ad una reciproca comprensione e miglioramento cioè empowerment potenziamento sul piano della crescita civile. Ritengo che occorra essere consapevoli della relatività delle nostre visioni e modi di vivere, come di quelle altrui, per superare pregiudizi, rigidità, e malintese superiorità, relatività in riferimento a geografia, storia, cultura, tradizioni, esperienze di vita di un territorio, un popolo, una nazione, un’etnia. Le differenze culturali, a nostro avviso, vanno comprese in riferimento alle condizioni sociali, con l’elaborazione delle differenze sociali. A partire per i nostri Rom dal loro status sociale, che per la loro emarginazione ed esclusione sotto molteplici aspetti, li pone fuori della stratificazione sociale riconosciuta, fuori dalla scala sociale, per certi versi come paria invisibili. Infatti, nei campi Rom ufficiali e non, come quelli di Scampia, qualche decina sono cittadini italiani, un gruppo consistente fruisce di un permesso di soggiorno, altri hanno il passaporto del loro paese di origine, non pochi sono senza documenti e quindi di fatto “apolidi”. In ogni caso come umani sono titolari di prestazioni, servizi, diritti riconosciuti dalle convenzioni internazionali, europee e nazionali secondo la nostra Costituzione.
Sui diritti umani. Si verifica ed osserva conseguentemente sotto i nostri occhi una condizione di marginalità territoriale e sociale, di esclusione sociale, ghettizzazione specie nei campi abusivi in baraccopoli di fortuna in condizioni di degrado, precarietà ed abbandono. Vii abita una popolazione con scarse risorse economiche e culturali per affrontare le alee della vita, che da luogo ad una economia di sopravvivenza. Sono le donne come vediamo ogni giorno caritare o raccogliere materiali di risulta che portano il peso dell’economia familiare e dell’educazione dei figli. Gli uomini sono dediti a scambi e traffici più o meno legali e talora ad atti sanzionati dalle nostre leggi, che troviamo poi nelle nostre carceri con i delinquenti nostrani, una condizione che segna pesantemente la vita delle loro famiglie. Questi atti certo non vanno giustificati per mancanza di alternative, perché non tutti delinquono nelle stesse condizioni, ma inquadrati in precarie condizioni sociali di privazione. A questo riguardo, ragionando mi veniva in mente un noto principio dell’Insegnamento sociale della Chiesa, nell’ambito della universale destinazione dei beni di madre terra e della produzione umana, che in condizioni estreme umane di privazione e bisogno per se e la propria famiglia (cibo, medicine come in noto film americano), ammette che si possano attingere a beni di proprietà altrui. Caso limite, perché i paesi dell’ Europa occidentale, rispetto agli stessi USA, nel secondo dopoguerra si sono caratterizzati per un universale ed ampio welfare pubblico.
In ogni caso, a nostro avviso, nelle diverse attività sociali pro Rom occorre distinguere la dimensione dei bisogni – comuni agli esseri umani che non intendono solo respirare ma aspirare ad accedere a beni materiali ed immateriali e ad una possibile felicità, secondo l’ideale da perseguire verso una condizione più umana delineato dal beato Paolo VI nella nota storica Enciclica “Populorum progressio”, 26 marzo 1967 (nn 20-21 – da soddisfare con una illuminata azione assistenziale privata e pubblica per superare le condizioni di disagio. E la dimensione propriamente politica da parte di movimenti, associazioni, Comitati di cittadini, per un riconoscimento ed implementazione dei diritti delle minoranze Rom riconosciuti dalle convenzioni internazionali, direttive europee e nazionali, che sono normative per l’azione pubblica e privata sotto il profilo dell’accesso all’abitazione come gli altri cittadini, alla formazione ed all’accesso al lavoro, all’istruzione ed alla sanità.
A nostro avviso, oltre ad una maggiore conoscenza storica, antropologica, culturale, sociologica delle minoranze Rom, Sinti e Camminanti nel nostro paese ed in Europa, che non fa male, al di là delle diverse ispirazioni di associazioni e movimenti, occorre da parte soprattutto di coloro che svolgono azioni volontarie, una maggiore comprensione delle sofferenze di donne e bambini che a noi si rivolgono con un tratto più umano. E com-passione nel senso buddista delle sofferenze altrui, e compassione o carità cristiana cercando di mettersi al posto degli altri. Cioè EMPATIA, più cuore, perchè sono convinto che in ultima analisi è l’AMORE che fa conoscere e comprendere gli altri. A titolo di esempio, senza qui ricordare tanti atti di accoglienza e generosità nei confronti delle famiglie Rom albergate per mesi nell’Auditorium di Scampia, vorrei ricordare una madre presente nell’ultima Preghiera di Taizé che faceva proprie nella preghiera con il cuore “Le preoccupazioni di queste madri Rom per il futuro dei propri figli”. Così sia.