Proseguendo la mia riflessione sul mondo religioso circostante nel quartiere Scampia,
nell’area Nord di Napoli, sulla base di alcuni elementi di analisi presenti nel precedente
testo“La religiosità di Scampia, cittadella del Sud” (prevalentemente Istituzionale o se si vuole
“territoriale” nel senso di comunità cristiane locali), nell’anno di grazia 2017 per l’atmosfera
“religiosa” che mi circonda ho avuto la percezione di trovarmi tuttora di fronte ad un
“CRISTIANESIMO RELIGIOSO”. E’ una constatazione che s’impone all’osservazione, e non
appartiene solo ad alcune fasce della popolazione – minoritariamente praticanti nel senso
proprio del termine rispetto alla totalità della popolazione – ma all’ambiente mentale e
culturale che si respira da parte anche di diversamente credenti e praticanti. Cioè ad una
cattolicesimo che con la sua modalità “religiosa” nei decenni ha impregnato il sentire ed il
vivere della popolazione lasciando tracce in credenze e pratiche, stili di vita, in forza del tipo
di socializzazione religiosa (cultuale, sacramentale, caritativa) promossa dagli operatori
pastorali. Una forma storicamente condizionata di espressione umana del Cristianesimo
cattolico italiano e/o meridionale. Un Cristianesimo cattolico di una cittadina del Sud.
Ultimamente si deve segnalare un accostamento diffuso ai testi della Bibbia in gruppi,
movimenti, comunità, che può lievitare forme scontate di religiosità e modelli culturali.
Non si vuol affermare che non siano avvenuti mutamenti prevalentemente intraecclesiali,
ispirati alla riforma liturgica promossa dal Vaticano ll, per esempio con il decoro delle nuove
chiese edificate e delle celebrazioni religiose ed una moderata partecipazione dei fedeli alla
vIta delle comunità cristiane. Non è stata promossa invece allo stesso modo la vocazione
nativa dei laici all’agire nella società e nella città. Nel contempo è avvenuta come altrove
una secolarizzazione diffusa di mentalità, costumi e pratiche in diversi ambiti della vita. Non
si è verificata una transizione ad un Cristianesimo spogliato di paramenti religiosi, di una
mentalità religiosa del mondo, un vivere posto di fronte all’inedito del Mistero di Dio, ed alla
fede credente nel Cristo Signore della vita. Si potrebbe dire che non è pienamente
avvenuto il “disincanto” weberiano del mondo, postulato dalla stessa rivelazione antica e
nuovo testamentaria. E’ un mondo autoreferenziale, che rischia di essere un ambito
separato dagli altri, in sé concluso, che non include l’ambiente circostante, una “cupola
religiosa” sul mondo che forse aiuta a vivere.
A questa proposito, per uscire da ristrettezze culturali localistiche, di fronte alle sfide di un
mondo “non religioso”, è illuminante una riflessione tuttora attuale del noto teologo luterano
del novecento Dietrich Bonhoeffer, che in una lettera da Tegel in data 30 aprile 1944
( Resistenza e resa , Paoline, Milano 1988, pp. 348-350), si interroga su un linguaggio nuovo
in un mondo “non più religioso”, di fronte anche oggi non solo ai drammi delle guerre ma
all’enfasi mediatica di persone ed avvenimenti “religiosi” nella babele di eventi e linguaggi
nella società dell’immagine.
<<Ciò che mi preoccupa continuamente è la questione di che cosa sia veramente per noi,
oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo. È passato il tempo in cui questo lo si poteva
dire agli uomini tramite le parole – siano esse parole teologiche oppure pie –; cosí come è
passato il tempo della interiorità e della coscienza, cioè appunto il tempo della religione in
generale. Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non-religioso; gli uomini,
cosí come ormai sono, semplicemente non possono piú essere religiosi. Anche coloro che si
definiscono sinceramente “religiosi”, non lo mettono in pratica in nessun modo;
presumibilmente, con “religioso” essi intendono qualcosa di completamente diverso.
Il nostro annuncio e la nostra teologia cristiani nel loro complesso, con i loro 1900 anni, si
basano però sull’ “apriori religioso” degli uomini. Il “cristianesimo” è stato sempre una forma
(forse la vera forma) della “religione”. Ma se un giorno diventa chiaro che questo “apriori”
non esiste affatto, e che s’è trattato invece di una forma d’espressione umana, storicamente
condizionata e caduca, se insomma gli uomini diventano davvero radicalmente non religiosi
– e io credo che piú o meno questo sia già il caso (da che cosa dipende ad esempio il fatto
che questa guerra, a differenza di tutte le precedenti, non provoca una reazione “religiosa”?)
(…) Se alla fine anche la forma occidentale del cristianesimo dovessimo giudicarla solo uno
stadio previo rispetto ad una totale non-religiosità, che situazione ne deriverebbe allora per
noi, per la Chiesa? Come può Cristo diventare il signore anche dei non-religiosi? Ci sono
cristiani non-religiosi? Se la religione è solo una veste del cristianesimo – e questa veste ha
assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi – che cos’è allora un cristianesimo
non-religioso?>>.
Per tornare a noi, come dire o meglio ri-dire Dio, Cristo “non più oggetto della religione ma
qualcosa di totalmente diverso, veramente il Signore del mondo”, chiesa, ed anche
uomo/donna, in un mondo-religioso di fronte ad un mondo non-religioso che scorre
accanto?. Si tratta di non aver paura di fronte alla sfida dell’inedito, del Mistero che
trascende i sistemi religiosi di credenze e pratiche, da custodire non solo nell’interiorità
perché è fonte di vita vera come nel mistero trinitario.