Questa mattina nella celebrazione della Messa ho fatto memoria del dj Fabo che in Svizzera per sua decisione ha dato termine alle sue sofferenze con il suicidio assistito che per definizione non è propriamente eutanasia, perché ritenevo che il modo migliore per riflettere su questa drammatica vicenda umana fosse di porsi e porre Fabo di fronte all’Altissimo. Con l’aggiunta “Chi sono io per giudicare?” questo atto estremo di un malato imprigionato nella sua sofferenza, nel senso di emettere un giudizio definitivo di bene e/o di male su un gesto. Ma una qualche idea anche se non definitiva bisogna farsela sia sul piano delle decisioni personali che delle regole sociali riguardanti il fenomeno del fine vita. In questa sede esprimo qualche breve riflessione personale, perché il fatto interroga tutti sul vivere e morire e se si vuole teologicamente sulle “realtà ultime”.
In primo luogo, a chiare lettere, la motivazione del gesto di Fabo è stata la liberazione dalle inaudite sofferenze che non avevano senso ed appariva più dignitoso morire. Ci troviamo di fronte al problema angosciante del senso della sofferenza individuale e collettiva, che induce alcuni a mettere fine alle sofferenze ed alla stessa vita ritenuta senza senso. Con tutta l’umana comprensione per una vita che non si può e non si vuol più vivere, nel nostro caso per quello che sappiamo non si coglie una visione o credenza che sia di una vita ulteriore che non è facile e che si compie nella vicenda terrena nel bene e nel male. Ho detto ai presenti a questo proposito che con la morte si libera il nostro “spirito” che va incontro ad uno Spirito, ad un oceano di vita e di luce per quanto possiamo rappresentarci, che non conosciamo. Questa considerazione ha impressionato una credente presente, a cui la mia considerazione non usuale appariva consolante. Rimane il problema, che non affronto, della buona morte o meglio della morte “umana”, che non appare risolto solo dai sollievi prestati dalla medicina moderna più perfezionata, perché si tratta di prevalentemente del senso del vivere e morire.
In secondo luogo, prepotentemente sui media è stata denunciata l’assenza nel nostro paese di una legge sul fine vita che non si riesce ad approvare in Parlamento. Di fronte a questi episodi di scelta di dare fine alla propria vita in molteplici modi, appare opportuno in ogni caso formulare alcune regole dal legislatore a presidio della vita e per assicurare una morte umana. Tale regolamentazione non è solo frutto di confronto nelle sedi legislative, ma affonda le sue radici nel confronto di opinioni, convinzioni, culture ed anche fedi condivise sul senso del vivere e del morire. Il problema principale non è solo emanare una legge sul fine vita, ma una più ampia visione per assicurare nella società vita e morte umana, perché il dono personale ricevuto e diffuso intorno a noi in molteplici specie è la VITA.