Condanna coloro che strumentalmente dipingono le migrazioni come “un’invasione”. “La retorica dello scontro di civiltà – dice – serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio”. E confida: “A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo: sento discorsi che seminavano paura e odio già nella decade degli anni trenta del secolo scorso”.
Francesco torna sulle rive del Mediterraneo, a Bari (la prima volta un anno e mezzo fa), in occasione dell’Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo frontiera di pace”, promosso e organizzato dalla Conferenza episcopale italiana. Si tratta di una sorta di G20 della Chiesa per parlare, come ha ricordato nei giorni scorsi il cardinale Gualtiero Bassetti, “all’Europa intera e ripetere che occorre affrontare il fenomeno migratorio e non alzare barriere”. Ad attendere Francesco, 58 vescovi le cui diocesi si affacciano sul mare teatro delle rotte dei migranti in particolare dall’Africa sub-sahariana. In fuga da guerre e miseria, sono loro a essere al centro dei pensieri di papa Bergoglio fin dall’inizio del suo pontificato con quel primo viaggio penitenziale a Lampedusa nel luglio del 2013.
“Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali hanno reso” il bacino del Mediterraneo “centro di interessi enormi”, spiega, all’interno della basilica di San Nicola, Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme. Che prima che il Papa prenda la parola ricorda come “il destino di intere popolazioni è asservito all’interesse di pochi, causando violenze che sono funzionali a modelli di sviluppo creati e sostenuti in gran parte dall’Occidente”. Ma nel passato “anche le Chiese, basti pensare al periodo coloniale, sono state funzionali a tale modello. Oggi desideriamo chiedere perdono, in particolare, per aver consegnato ai giovani un mondo ferito”.
Non ha paura Francesco di stare dalla parte di chi “sta invocando aiuto” nonostante in diversi “si chiudono nella propria ricchezza e autonomia” senza accorgersi di loro. E biasima “l’inadempienza o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo”, quali “cause di radicalismi e terrorismo”. In Italia, ma non solo, una parte politica sta facendo proseliti con la narrazione dello scontro di civiltà e l’invasione di popolazioni ostili. Non è così che stanno le cose per il Papa. “La comunità internazionale – dice – si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi nei quali i cittadini abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune”. “A nostra volta – continua – alziamo la voce per chiedere ai governi la tutela delle minoranze e della libertà religiosa. La persecuzione di cui sono vittime soprattutto – ma non solo – le comunità cristiane è una ferita che lacera il nostro cuore e non ci può lasciare indifferenti”. E chiede che non si accetti “mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale sia sottopagato o assoldato dalle mafie”.
Il monito di Francesco non è solo per l’indifferenza verso i migranti mas anche per la “grande ipocrisia” dei tanti paesi che nelle riunioni internazionali parlano di pace e poi fanno la guerra”. I conflitti nell’area del Mediterraneo sono molteplici e coinvolgono sia il Medio Oriente, sia vari Stati del nord Africa. Francesco ricorda esplicitamente anche “il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi”. La guerra, spiega, “che orienta le risorse all’acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società, quali il sostegno alle famiglie, alla sanità e all’istruzione, è contraria alla ragione”. In altre parole, “essa è un’autentica follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche”. E ancora: “È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti”.
E chiude il suo intervento citando le parole del profeta Isaia che davanti alla desolazione di Gerusalemme a seguito dell’esilio non cessa di intravedere un futuro di pace e prosperità: “Ricostruiranno le vecchie rovine, rialzeranno gli antichi ruderi, restaureranno le città desolate, devastate da più generazioni”.
da La Repubblica