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Papa Francesco a Napoli: perché e per chi

Papa Francesco ha dimostrato di nuovo la sua imprevedibilità con la decisione – al di là di tutte le diplomazie ecclesiastiche – di iniziare la sua visita a Napoli con un omaggio alla Madre di Dio venerata nel santuario  di Pompei, dove affluiscono numerosi pellegrinaggi di devoti da tutta la Campania ma non solo.  E’ diventato così un viaggio in Campania (Pompei e Napoli) che relativizza la breve visita annunciata in esclusiva a Napoli, ma a nostro avviso anche il programma di incontri – si ritiene concordato con la diocesi  di Napoli  – con un omaggio di preghiera a Pompei.  E contribuisce a conferire un carattere più pastorale a questa visita, e meno ad incontri con rappresentanti istituzionali e luoghi (periferie, carceri) e categorie (preti, giovani, malati) diventati usuali come il pranzo con i carcerati.  Da qualche incontro abbiamo avvertito che questa scelta ha scombussolato un programma e forse un modo ecclesiastico di procedere. Il Comitato promotore d’altra parte è composto in maggioranza da ecclesiastici in ragione dei loro uffici.

Poco rilievo in questo contesto ha la polemica sulla somma di 200.000 euro erogata dalla Regione Campania per le spese della visita a Napoli, non dimenticando che “Parigi val bene una messa” o un palco per papa Francesco. Piuttosto bisogna interrogarsi sul significato di questa visita, peraltro breve in confronto a quella di tre giorni di Giovanni Paolo II nel novembre 1990,  sull’approccio alla comunità cristiana e alla comunità civile napoletana con i noti problemi economici ed occupazionali e qualche manifestazione emergente negli ultimi tempi di discriminazione e razzismo  nei confronti di immigrati e Rom. Certo non si riscontra finora il clima di entusiasmo e l’attesa che caratterizzò quella  visita per un parola di  speranza ed incoraggiamento non solo per il volontariato di Scampia.

Il quesito è allora come si presenta Papa Francesco a questa densa conurbazione, e quale messaggio porta nell’indirizzarsi al popolo dei fedeli e degli abitanti di questa città o area metropolitana. Certo come vescovo di Roma che presiede alla cattolicità nel mondo, ma anche cittadino di questo mondo, “bianco padre”  a maggior ragione per il suo stile e l’approccio diretto con coloro che  incontra in molteplici luoghi ed occasioni. Vescovo di Roma e padre universale che, secondo indagini recenti in Italia riscuote la massima fiducia da parte degli italiani per i suoi gesti e messaggi che non riguardano solo il rinnovamento della chiesa in alto ed in basso, ma il riconoscimento  di diritti sacri come terra, casa e lavoro secondo un discorso poco valorizzato ai movimenti popolari non solo dell’America Latina.

Questo papa non si presenta come teologo sottile ma come Pastore. Anche a Napoli  secondo  la parola  rivolta  a Pietro  è chiamato a «Fortifica i tuoi fratelli nella fede» (Luca 22, 31-32), fede “cristiana” appunto con tutte le sue conseguenze nella vita individuale e collettiva, una fede non privatizzata o meramente cultuale ma aperta al disegno di Dio sul mondo, ai bisogni sociali del territorio di appartenenza. Porta con sé l’esperienza delle Chiese del terzo mondo, specificamente dell’America Latina, e dei movimenti popolari. Quando una società ignora i poveri, ha ammonito Francesco nel Te Deum di fine anno, li perseguita, li criminalizza (come è accaduto in limitati episodi contro Rom ed immigrati anche a Napoli), quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà e preferisce la schiavitù del suo egoismo, della ricerca strumentale del facile consenso sulla pelle dei poveri cristi. Non consta finora un chiaro intervento, al di là di quelli assistenziali,  e sollecitazione da parte della chiesa napoletana a favore  di più di tre mila  Rom abitanti – anche da decenni come a Scampia –  in condizioni precarie in sette campi ghetto.

Due messaggi in particolare, a nostro avviso,  sono da rivolgere alla comunità religiosa e civile napoletana.  La parola d’ordine della visita di Giovanni Paolo II era stata “organizzare la speranza” , oggi  di fronte  alla frammentazione e frantumazione delle realtà religiose su uno stesso territorio  (clero e religiosi, parrocchie e variegati movimenti e gruppi religiosi, comunità cristiane e comunità civile) l’invito pressante è a connettersi, a stabilire ponti, dialoghi per convergere per la risposta ai bisogni sociali di singoli e famiglie e della più ampia comunità cittadina.

 

Secondo, riscoprire e ridare centralità. di fronte a una comoda riclerizzazione, al  “popolo di Dio” che costituisce le comunità cristiane,  come autentiche “esperienze di fede” e ridare voce per una governance comunitaria secondo le modalità previste dei Consigli pastorali richiamate più volte dal Cardinale arcivescovo, e ad un assuefatto e comodo mutismo quando la chiesa è la casa di tutti. Sembra predominare una religiosità governata dal clero, che fa comodo in alto ed in basso perché esime dal pensare de partecipare, come mi faceva presente un operatore pastorale di uno specifico settore che si era reso conto sulla base dell’esperienza di un centralismo ecclesiastico che sostanziava una visione gerarchica della Chiesa. Una più diffusa partecipazione e presa in carico da parte dei cristiani delle comunità di appartenenza richiede anche una crescita culturale  nelle materie religiose.

Di fronte a una religiosità,  a tratti accomodante e tranquillizzante,  non farebbe male una maggiore apertura alle irruzioni dello Spirito, che non è solo dei profeti dell’AT o di qualche c.d. gruppo carismatico, portatore di  creatività e novità nella chiesa cattolica e nelle chiese, negli individui, nella società, nel mondo, nella storia dei popoli, Si chiede troppo, per superare una classica mentalità di destino, fato e rassegnazione e di appiattimento sul presente e sul presente di questa città che ad osservatori di ritorno non sembra cambiare volto nel tempo  se non  nel sottosuolo (metrò).

Vieni Papa Francesco in mezzo a noi con il tuo sorriso e abbraccio fraterno.

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