In una lettera alla Commissione internazionale contro la pena di morte, appena il giorno prima della sua visita a Napoli, papa Francesco ha detto la sua in merito alla pena di morte che, sebbene in Italia non venga applicata da decenni e sia stata definitivamente abolita per legge per qualunque crimine e reato, in altri Paesi del mondo resta una triste e attualissima realtà. Nella missiva, ricevuta dal presidente della Commissione Federico Mayor nel corso di un’udienza, il Santo Padre ha ammesso che la pena capitale «è inammissibile, per quanto possa essere grave un delitto commesso da un condannato». Nelle parole del pontefice si legge la totale e convinta disapprovazione di uno strumento che non garantisce nessuna giustizia per le vittime e per i loro congiunti, ma che istiga semmai alla vendetta. La giustizia umana, inoltre, è ben lontana dall’essere perfetta, è uccidere in nome di un ideale più alto «è più spaventoso che l’omicidio commesso da un criminale».
Papa Francesco ci riporta dritti a una discussione di grandissima attualità in giro per il mondo, dove di pena di morte si sta parlando proprio in queste ore. Negli USA, per esempio, dove la mancanza di farmaci da utilizzare nelle iniezioni letali ha generato in diversi Stati un dibattito su quali potrebbero essere i “rimedi” alternativi. In Oklahoma i repubblicani sostengono l’idea dell’azoto, un gas inodore e non tossico che risulterebbe però nocivo se inalato in grosse quantità. Nel Wyoming, invece, il senato locale ha approvato la mozione che permette di tornare alla retrograda fucilazione nei casi in cui l’iniezione letale non fosse disponibile, e nello Utah c’è chi sta pensando di fare altrettanto. Sono più di venti gli Stati della federazione che ancora non hanno abolito la pena capitale dal proprio codice costituzionale, e di questi circa una decina ha applicato la dura sentenza di morte negli ultimi dieci anni, anche in più di una occasione, rendendo così gli Stati Uniti l’unico Paese del mondo occidentale a non aver abolito la condanna a morte per legge.
In Indonesia, il 18 gennaio scorso sei persone sono state condannate a morte per fucilazione, incriminate per spaccio di droga, un reato che il governo indonesiano punisce con l’esecuzione. Soltanto uno di loro era di nazionalità indonesiana, mentre altri due detenuti australiani, attualmente, aspettano l’esecuzione per il medesimo reato. A nulla è valsa la proposta dell’Australia di scambiare quei detenuti con altrettanti indonesiani reclusi nel carcere di Canberra. Il presidente Joko Widodo si è rifiutato di concedere la clemenza, nonostante l’intervento del Primo Ministro Tony Abbott, e in decine hanno presenziato davanti all’ambasciata australiana per manifestare il loro pieno appoggio alla sentenza. In Pakistan, appena una settimana dopo che è stata revocata la moratoria che sospendeva la pena di morte nel 2008, sono state giustiziate 12 persone, quasi tutte per omicidio, e non è accaduto neanche molti giorni fa.
Dal 2010 ad oggi, sono trenta i Paesi del mondo che hanno applicato la pena di morte almeno una volta, tra cui anche Cina, Giappone, India, Palestina e Arabia Saudita. Fa davvero impressione il fatto che a pochissima distanza dall’Italia e dall’Europa, nel vicino Medio Oriente, nell’Africa settentrionale, ma anche negli insospettabili Stati Uniti, ogni mese, ogni anno la barbarie prenda il sopravvento sulla ragione in maniera così efferata, eppure anche così meditata.