Con i soldoni dell’Aiib – la Banca Asiatica d’Investimento da 100 miliardi di dollari di capitale – il presidente cinese Xi Jinping punta a connettere il suo Paese a Europa e Africa. L’Italia si prepara a diventare il primo Paese del G7 a sostenere formalmente il mega-progetto infrastrutturale denominato la “Nuova Via della Seta”. Le critiche alla Penisola si sprecano: dall’Europa agli Stati Uniti si invoca il pericolo di un rafforzamento degli occhi a mandorla nei settori strategici dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, per non dire dell’influenza logistica e militare. Tutto vero. Se non fosse che l’Italia: a) ha solo lo 0,75% di investimenti cinesi diretti in rapporto al Pil (ben al di sotto di molti Paesi europei e della GB); b) è considerata dalla Cina un Paese fondatore della Banca Aiib; c) vuole incrementare il proprio export nel Celeste Impero; d) ha perso da secoli la centralità del Mediterraneo negli scambi internazionali e necessita di rilanciare i porti; e) vive una stagione di tensione con i partner europei; f) risente del dichiarato isolazionismo americano.
Oltre la nuova Via della Seta c’è il recupero di quel ruolo centrale nelle relazioni globali che è nelle corde della nostra diplomazia e della nostra geopolitica.