Il “codice rosa” è una strategia di intervento nella presa in carico delle vittime di violenza. Tutte le vittime, non solo le donne. Perché allora si rapporta il codice rosa quasi esclusivamente ai casi di violenza su di esse? Perché nella fattispecie le cifre sono allarmanti: oltre 2400 casi di violenza sul sesso debole nei primi sette mesi del 2017, circa 11 al giorno; negli ultimi 10 anni il numero delle donne che ha patito maltrattamenti è di quasi 7 milioni.
Quando viene assegnato il “codice rosa” si attiva un gruppo operativo formato da assistenti sociali, magistrati, psicologi, medici, infermieri e così via. Insomma una task force presumibilmente idonea a ripristinare quell’equilibrio psico-fisico che il violentato sembra aver irrimediabilmente smarrito. Eppure questi gruppi operativi spesso mancano del necessario coordinamento con le strutture di assistenza, come i centri antiviolenza.
Di qui il dato drammatico: 9 donne su 10 non denunciano le violenze subite per timore di attivare un circuito giuridico-mediatico dagli esiti imprevedibili. In barba a tale evidenza l’emendamento alla Legge di Stabilità vorrebbe estendere i “codici rosa” in tutti gli ospedali italiani. Prospettive di successo? Francamente lo ignoro.