60 anni di integrazione europea non sono tanti, ma neppure pochi. Distratti dalle nostre priorità quotidiane rischiamo quasi di dimenticare che dalla nascita della CEE (Trattati di Roma del 1957) ad oggi abbiamo attraversato il più lungo periodo di pace e di prosperità mai conosciuto nella lunga storia del Vecchio Continente.
In questi 6 decenni l’Italia ha guadagnato o ha perso? L’Istat – con la forza inossidabile dei numeri – ha certificato uno spaccato a due facce: da un lato un Paese divenuto economicamente più agiato di quello degli anni ’50, con il più basso tasso di mortalità infantile rispetto ai propri vicini; dall’altro, un’Italia alle prese con i cronici problemi legati alla più alta disoccupazione, al gap salariale uomo-donna, ai pochi laureati, alla fuga dei migliori cervelli, all’insufficiente integrazione università-mercato del lavoro, al preoccupante perdurare del tasso di denatalità (noi che ad inizio anni 60 eravamo un Paese tra i più giovani).
Il dato saliente è che viviamo in media più degli altri, conseguenza di un miglioramento degli stili di vita e dell’apparato sanitario. Ma il brizzolo di oggi lascerà presto il passo al capello bianco di domani. Senza una coerente rimodulazione dei flussi migratori tra pochi anni rischieremo davvero di ripiegare su noi stessi.