Non riesco a comprendere quale strategia diplomatica abbia potuto suggerire a Donald Trump di dichiarare alla comunità internazionale che Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile dello stato ebraico e che lì l’America sposterà la propria Ambasciata. Ci raccontano che i motivi siano di natura interna: dalla necessità di sgretolare il quadro dei rapporti costruiti dalle precedenti amministrazioni a quella di “distrarre” l’opinione pubblica dal Russiagate che potrebbe comportare l’impeachment al presidente americano. Può darsi che sia così, ma il gioco stavolta si fa pericolosissimo perché aggiunge benzina sul fuoco mediorientale in un momento dove i venti di guerra ad est – nella penisola coreana – rappresentano più di una minaccia. In questo scenario a tinte fosche rischiano di incrinarsi vecchie alleanze (Stati Uniti-Europa), laddove il ricompattamento del fronte musulmano in chiave anti-israeliana diventa immediato e più allargato. Sullo sfondo Cina e Russia appaiono osservatori moderati rispetto alle azioni potenzialmente incendiarie del numero uno della Casa Bianca.
Un azzardo in Terra Santa dagli esiti imprevedibili e del quale il mondo ne avrebbe fatto volentieri a meno.