Gestione della pandemia e tutela della privacy e dei dati personali sembrano sempre più in contrasto. Sono servite autocertificazioni per spostarsi fin dallo scorso anno. Da mesi si discute di un possibile pass vaccinale europeo, per l’Italia ce ne è già uno che serve nei passaggi alle regioni arancioni e rosse. Questo pass deve essere rivisto secondo il garante della Privacy. Giovanni De Gregorio, Academic Fellow al Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi, ha esaminato i punti critici del documento ai microfoni di Vanity Fair.
Ecco quanto evidenziato dalla Redazione Linkabile:
QUESTIONE SANITARIA
Prima di quella giuridica c’è una questione sanitaria. Non c’è certezza che il completamento del percorso di vaccinazione nonché la guarigione dal virus renda sempre protetti per un periodo di almeno sei mesi, ossia il periodo di durata del passaporto, visto che non è ancora chiara la durata dell’immunità dopo il vaccino o la malattia. Infine, il tampone negativo, terza via per avere il pass vaccinale, seppur solo per 48 ore, è la fotografia di un attimo che garantisce di non avere in un determinato momento una positività, ma non comporta alcuna copertura.
QUESTIONE PRIVACY E DATI
Tutti e tre i casi comportano la presenza di dati personali e sensibili. «Se devo restringere una libertà personale, ma lo faccio in base a dati non ancora testabili, questo pone dei dubbi. Perché la mia libertà personale deve essere ristretta sulla base di informazioni che non garantiscono l’applicazione di procedure certe?».
PROCEDURA
Il garante della Privacy ha segnalato il mancato coinvolgimento dell’Autorità garante nonché della predisposizione di una valutazione di impatto sulla protezione dei dati come stabilito dal regolamento europeo in materia di dati personali. È positiva la scelta del decreto legge da convertire con possibili cambiamenti in Parlamento, ma c’è forte il rischio di frammentazione dei sistemi se questo passaporto non fosse adattabile alla forma del pass europeo. La frammentazione crea incertezze per i diritti degli utenti.
INDETERMINATEZZA E PROPORZIONALITÀ
È problematica l’indeterminatezza della finalità nonché delle condizioni di liceità come prevista dal regolamento europeo. Gli usi possibili vanno stabiliti per legge. Non può esserci un’applicazione discorde del pass vaccinale. Serve solo per gli spostamenti o può essere utilizzato anche per dare accesso a luoghi pubblici o servizi come la piscina o la biblioteca? Inoltre, «Mancano quelle misure che vanno a garantire il diritto alla privacy e alla tutela dei dati personali». Anche qualora si ritenesse il trattamento in questione come determinato necessario, non è prevista alcuna previsione che bilanci il diritto alla privacy degli utenti con le esigenze di carattere pubblicistico.
MINIMIZZAZIONE
Dovrebbe esserci il numero minimo di dati sensibili possibili. Qui ci sono dati sanitari che dovrebbero essere protetti. «Servirebbero solo i dati sufficienti alla finalità, ma se questa non è chiara, come in questo caso, il problema si allarga». Ad esempio, non dovrebbe importare quale delle tre ipotesi è valida per il soggetto che ha il pass. Basta avere il passaporto vaccinale per rispondere ai requisiti di legge. Tutti i dati che vanno oltre nome, cognome e codice fiscale non dovrebbero servire. Basterebbe per questo per risalire al dato attraverso app o codice a barre.
DIRITTI DEGLI INTERESSATI
Se non conosco il responsabile del trattamento dei dati, che non è indicato, non posso chiederne nemmeno la correzione se questi sono sbagliati. Ad esempio, non posso esercitare il diritto di accesso per capire quali dati vengono trattati».
ALTERNATIVE
Si poteva attendere la risposta europea in modo da fare affidamento su un quadro comune ampiamente discusso. Inoltre, anziché riferirsi alle tre possibilità per emettere il passaporto vaccinale, si poteva legare il passaporto a un indice di positività al sierologico, quindi un indice numerico oggettivo, con un range indicato alla legge entro cui il passaporto poteva essere emesso.
DISCRIMINAZIONI
Passare per tre ipotesi porta a una differenziazione della libertà di movimento. «C’è il rischio che qualcuno possa volersi esporre al Covid pur di avere questo via libera». In generale il documento diventa discriminatorio quando manca un quadro normativo che definisca i limiti, le finalità vanno spiegate nel dettaglio.
In questo caso può essere violato anche il principio di uguaglianza perché il cittadino non può scegliere in qualsiasi momento di fare il vaccino. «Molte persone non sono vaccinate e molte non hanno preso il Covid. Proprio quelle che non hanno preso il virus sono quelle penalizzate». C’è poi una temporalità che sempre discrimina quanti non hanno avuto per primi il vaccino: se si dovessero fare altre dosi sarebbero sempre in coda agli altri. A questo si aggiungono i casi di soggetti che, anche dopo aver fatto il vaccino, hanno un livello molto basso di anticorpi.
Alcuni soggetti che non possono accedere a prestazioni sono discriminati. È discriminato chi non si può spostare, ma anche chi lo può fare è discriminato dalla vaghezza del contenuto perché l’utilizzo del pass potrebbe limitato non solo agli spostamenti.