Il Carcere rappresenta per l’opinione pubblica un non luogo dove la persona rea deve espiare la condanna
lontano dal sistema sociale con cui è entrata in conflitto, allontanando così il reo come un diverso. In questo modo
si respinge l’ipotesi che questi uomini siano uguali a noi e che tra le componenti del loro reato possa esserci anche
un disagio che rende necessario un sostegno psicologico.
Essere Psicologo in Carcere non vuol dire non fare scontare una condanna, ma supportare la persona nella
sua sofferenza affinché possa comprendere i propri agiti. La Psicologia in carcere è terreno di costante evoluzione,
ma ancora oggi fatica a essere riconosciuta e valorizzata.
Proprio per questo, il presidente dell’Ordine degli Psicologi della Campania, Armando Cozzuto, ha incontrato il Garante regionale delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello. Partendo dai temi al centro del convegno sulla salute mentale, che si è tenuto il 7 luglio a Napoli, Cozzuto e Ciambriello si sono confrontati sulle criticità del settore e sulle proposte da porre in atto.
Il Garante dei detenuti e il presidente dell’Ordine hanno sottolineato il ruolo fondamentale che gli psicologi svolgono negli istituti penitenziari e, in generale, nei luoghi di privazione della libertà personale, rimarcando la necessità di rafforzarne la presenza in questi contesti, anche attraverso un processo di stabilizzazione. L’Ordine degli Psicologi si è impegnato a creare un gruppo di lavoro che avrà il compito di effettuare una mappatura dei professionisti che operano in questi ambiti, delle loro funzioni e delle tipologie di contratto utilizzate.
Cozzuto e Ciambriello hanno poi concordato sull’istituzione di un tavolo tecnico, al quale parteciperanno anche i professionisti del settore, per fare il punto sullo stato dell’arte in Campania e per condividere le proposte da portare avanti.
Se volessimo analizzare in generale questo fenomeno, al di fuori delle mura carcerarie, potremmo notare come, andare dallo psicologo o da uno psicoterapeuta è spesso una decisione presa con diffidenza, quasi con vergogna. E’ purtroppo ancora radicato nella nostra cultura un pregiudizio che considera la persona che soffre a livello psicologico come una persona inadeguata.
Troppo spesso si sottovalutano segnali evidenti oppure si preferisce desistere per il timore di condividere emozioni o per la paura di essere giudicati.
La persona che chiede un primo colloquio in un qualsiasi contesto, compreso il carcere, si presenta al suo interlocutore come “colui che ha problemi mentre l ‘altro (psicologo, psichiatra, terapeuta) è colui che deve risolverli”. Diverso è invece il luogo in cui questo incontro avviene. Infatti se la consultazione psicologica “sia che avvenga in ambito pubblico che privato, si svolge sempre in un luogo connotato come terapeutico”, in carcere le sedute hanno luogo in uno spazio privo di una funzione predefinita.
In genere i colloqui si svolgono in una stanza, situata in un’area prospiciente alle celle, adibita a vari usi. Quindi in uno spazio che non può nemmeno definirsi neutro. Poiché la porta, per ragioni di sicurezza, deve rimanere aperta non c’è una delimitazione spaziale completa e protetta da incursioni esterne. Si verifica quindi una condizione di privacy relativa consumata in uno spazio-tempo che il terapeuta non può presidiare in toto. Tuttavia questi elementi, se all’inizio sono di disturbo, col tempo finiscono col favorire l’intimità dell’incontro proprio in virtù dei reciproci sforzi (del paziente e del terapeuta) tesi ad escludere percettivamente gli stimoli estranei al contatto duale. La porta aperta, in fondo, ha una sua funzione simbolica precisa e coerente: sembra segnalare che non c’è soluzione di continuità tra il setting (la coppia psicologo-detenuto) e l’esterno (il terzo).
Dopo l’incontro con il presidente dell’Ordine degli Psicologi della Campania, il Garante Ciambriello ha lasciato le seguenti dichiarazioni: “Ritengo che le figure sociali, psicologi, psichiatri, educatori, volontari siano figure fondamentali all’interno delle carceri. Una persona che entra già la prima volta all’interno di un carcere per essere ri-educato è una persona con un problema. Se pensiamo per di più ad un tossicodipendente penso sia una persona con un problema in più da risolvere. E queste figure, sono necessarie per permettere l’inclusione e l’integrazione di queste. “-Ciambriello ha così concluso- “Ricordiamoci che sono delle persone che hanno sbagliato chiaramente ma ciò non vuol dire che devono essere abbandonati a se stessi.”