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Per il successo di una DOP è indispensabile il Consorzio di Tutela

I prodotti a marchio Dop/Igp (le cosiddette IG – Indicazioni Geografiche) della Campania sono 24, cui dovrebbero aggiungersi, entro il corrente anno o agli inizi del prossimo, la Colatura di Alici di Cetara Dop e la Rucola della Piana del Sele Igp. Un bel paniere di eccellenze dell’agricoltura e dell’agroalimentare campano, riccamente assortito per la presenza significativa di tutte le categorie produttive. Ventisei anni di impegno, anche dell’amministrazione regionale, per registrare e far conoscere le denominazioni della più gran parte delle produzioni tipiche locali, almeno di quelle più rilevanti, per massa critica e notorietà. Fatte però le dovute eccezioni, delle quali comunque in questa sede non si intende assolutamente parlare. Ci sarà tempo per raccontare le tante iniziative che hanno portato risultati zero e tempo perso tanto.

Le produzioni più dinamiche, quelle che hanno numeri di certificazione importanti, sia pure in relazione alla tipologia di prodotto e di filiera, sono, tra le Dop: Mozzarella di bufala campana, Caciocavallo Silano, Pomodorino del piennolo del Vesuvio, Pomodoro San Marzano, Olio Colline Salernitane e Provolone del Monaco. Altre che certificano piccoli volumi sono: Fico ed Olio del Cilento, Olio Irpinia e Penisola Sorrentina, Ricotta di bufala. Le altre np o con cifre irrisorie. Tra le Igp, quantitativi significativi di prodotto certificato sono solo della Pasta di Gragnano. Seguono, a distanza: Vitellone bianco, Melannurca, Nocciola di Giffoni, Limoni Costa d’Amalfi e di Sorrento. Numeri inferiori da Carciofo di Paestum e Castagna di Montella.

Per dare un’idea di quanto incida il prodotto certificato igp/dop sul totale dello stesso prodotto commercializzato (sia in termini produttivi che di fatturato), si va dal 60% della Mozzarella di bufala campana a percentuali da prefisso telefonico per Marrone di Roccadaspide e l’olio dop Terre Aurunche. Anche le IG che a sentire i media presentano performance di rilevo, nel 2018 hanno intercettato mediamente non più del 25-30% del potenziale totale esitato sui mercati. E’ il caso del Pomodorino del Vesuvio, della Melannurca, Limone Costa d’Amalfi, Nocciola di Giffoni, Provolone del Monaco. Valori in ascesa per la Pasta di Gragnano, ma ancora sotto il 50%.

Numeri impietosi, crescita lentissima, potenziale produttivo intercettabile ancora enorme. Anche le ottime performance della Mozzarella di Bufala (700 ML di fatturato, quarto in assoluto tra le dop italiane) potrebbero quasi raddoppiarsi se tutti gli operatori (allevatori e trasformatori) fossero iscritti alla Dop, come nel caso del Parmigiano Reggiano e Grana Padano.

Gli operatori iscritti al sistema sono 3500, un’inezia. Si dirà dei costi elevati, dei produttori delle materie prime scarsamente remunerati e quindi poco interessati, degli scarsi controlli che determinano contraffazioni e truffe, della bassa richiesta di prodotti a marchio (è il caso dell’olio evo), del mancato delta di prezzo tra prodotto dop e non dop, della scarsa coesione tra le imprese, e delle beghe interne ai consorzi di tutela.

Già, i Consorzi. In Campania quelli riconosciuti dal Ministero e autorizzati all’attività di tutela, vigilanza e valorizzazione sono 15, ma 3 (Caciocavallo Silano, Oliva di Gaeta e Vitellone bianco) sono interregionali e la produzione campana certificata con questi marchi è piuttosto bassa. E quindi 12 Consorzi di Tutela su 21 denominazioni campane registrate; in pratica la metà delle IG sono senza tutela, se non quella del Ministero esercitata attraverso l’ICQRF.

Eppure stiamo parlando di prodotti di pregio, di chiara fama, come il Limone di Sorrento, la Castagna di Montella, ben 3 oli dop sui 5 registrati. E’ pur vero che qualche spiraglio di novità s’intravede per Fico bianco del Cilento e Marrone di Serino, per i quali si sono avviati i primi incontri tra gli operatori della filiera per promuovere la costituzione del Consorzio per poi chiedere al Ministero il rilascio dell’autorizzazione. Nel primo caso si riparte dal precedente tentativo, abortito sul nascere, del 2008, mentre per Serino si è attesa che termini la seconda campagna di certificazione per partire. Poche speranze in prospettiva, infine, per il Cipollotto Nocerino e il Marrone di Roccadaspide, quest’ultimo a rischio cancellazione del marchio da parte della UE.

Non avere il Consorzio di Tutela riconosciuto (il riconoscimento è indispensabile per operare) significa che il prodotto è alla mercé di furbi e truffatori che ne utilizzano impropriamente la denominazione. Inoltre, non è possibile modificare il disciplinare di produzione che a volte, come per la Castagna di Montella, è ancora quello del 1986 e invece per gran parte delle IG andrebbe operato un refresh delle norme, in relazione ad alcuni necessari adattamenti e allineamenti da introdurre per corrispondere a nuove disposizioni commerciali e non solo. Non è possibile, inoltre, avviare trattative con l’organismo di certificazione autorizzato per poter introdurre modifiche sostanziali sul piano dei controlli e sul piano tariffario, come non è possibile sostituire l’istituto di certificazione con un altro tra quelli riconosciuti. E infine non è possibile promuovere interventi e progetti collettivi di valorizzazione del prodotto, intercettando e utilizzando i fondi messi a disposizione dallo stesso Ministero e dai fondi comunitari proprio per i Consorzi.

Insomma, quello campano è un sistema con luci ed ombre, che evolve troppo lentamente rispetto alle previsioni ottimistiche fatte negli anni ’90, quando si pensava di registrare, in Campania, oltre 50 denominazioni di origine geografica e quando il Reg. 2018/92 veniva visto come il provvedimento salvifico delle produzioni territoriali tipiche. Si è visto poi che il mondo delle Dop/Igp è molto più complesso di quanto appaia dall’esterno e che il difficile non è tanto (o solo) portare a casa la registrazione comunitaria, perché se si è capaci e soprattutto determinati il risultato si ottiene. La vera sfida viene dopo i brindisi e le celebrazioni pubbliche. E’ dopo che si misura la reale volontà da parte della filiera nell’investire sul marchio, sono i numeri non le chiacchiere a determinare il successo della denominazione sui mercati e presso i consumatori. Perciò è strategico, in un progetto teso alla registrazione di un prodotto, che gli operatori siano coesi e che pongano come risultato da raggiungere non solo il marchio in gazzetta ufficiale ma anche la costituzione del Consorzio di Tutela e questo significa iscriversi in massa al sistema e certificare sin dai primi anni dalla registrazione.

 

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