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Perché l’Italicum è incostituzionale

Di www.ilpost.it

La Corte Costituzionale ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui a fine gennaio ha bocciato due importanti pezzi dell’Italicum, la legge approvata dal Parlamento su iniziativa politica del governo di Matteo Renzi: il ballottaggio e il meccanismo dei capilista. Nelle motivazioni i giudici danno diverse indicazioni e spiegazioni e fanno molti riferimenti a un precedente: la sentenza del 2014 sulla parziale incostituzionalità del “Porcellum”, legge elettorale votata durante il governo Berlusconi nel 2006 e modificata dalla Corte nel cosiddetto “Consultellum”.
In breve, secondo la Corte Costituzionale è possibile avere due leggi elettorali per scegliere in modo diverso deputati e senatori, pur senza «ostacolare la formazione di maggioranze parlamentari omogenee»; il premio di maggioranza è costituzionale ma il ballottaggio è incostituzionale perché può permettere a chi ha avuto pochi voti di ottenere il premio; l’obiettivo della stabilità del governo, quando si fa una legge elettorale, però è «di sicuro interesse costituzionale»; i capilista bloccati sono costituzionali ma è incostituzionale candidare la stessa persona capilista in più collegi, perché così si affida all’eletto «il destino del voto di preferenza espresso dall’elettore».
Le modifiche principali
La Corte ha trasformato l’Italicum in una legge proporzionale corretta da un ampio premio di maggioranza: ha dichiarato legittimo il premio di maggioranza che garantiva il 55 per cento dei seggi alla lista che raggiungeva la soglia del 40 per cento, ma aveva bocciato il ballottaggio. Il cosidddetto “premio di governabilità”, dunque, ora scatta solo se si ottiene il 40 per cento dei voti. Se questo non succede, non ci sarà alcun premio e i seggi saranno assegnati in modo proporzionale.
La Corte ha anche modificato il meccanismo delle pluricandidature, che permetteva ai capilista di presentarsi in più di un collegio e scegliere successivamente dove essere eletti. La Corte ha ammesso la possibilità che un candidato possa presentarsi come capolista in più di un collegio, ma ha respinto la possibilità che in caso di vittoria in più collegi fosse lo stesso capolista a scegliere il collegio di elezione. Questo meccanismo avrebbe permesso, di fatto, la decisione sulla nomina di altri deputati. La Corte ha indicato come metodo di scelta il sorteggio.
Nel comunicato del 25 gennaio, la Corte precisava che la legge elettorale come da loro corretta poteva essere immediatamente applicabile: ufficialmente, dunque, in Italia sono in vigore due leggi elettorali piuttosto diverse, una per la Camera e una per il Senato. Se si votasse con questo sistema, si potrebbe arrivare a una larga maggioranza alla Camera, grazie al premio, o a una Camera molto frammentata se nessuna lista arrivasse al 40 per cento (cosa mai successa dal 1958 a oggi nelle elezioni politiche), mentre il Senato resterebbe frammentato comunque. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quello del Consiglio Paolo Gentiloni e quello del Senato Piero Grasso hanno dunque chiesto al Parlamento che le due leggi vengano armonizzate: giovedì 9 febbraio la commissione Affari costituzionali ha avviato l’esame di 18 proposte di legge elettorale e di modifica.
Le motivazioni
Le motivazioni sono lunghe cento pagine. L’indicazione più generale della Corte è che è possibile avere due leggi per scegliere in modo diverso deputati e senatori, ma si precisa che la Costituzione «esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee». Dopodiché si entra nello specifico.
Il ballottaggio è incostituzionale perché, semplificando, prevede che si conceda un premio di maggioranza (giudicato dalla Corte, in un contesto differente, non eccessivo e dunque legittimo) anche a chi non ha ottenuto il numero sufficiente di voti per meritarselo. Al premio di maggioranza, scrive la Consulta, «una lista può accedervi anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno». Così come previsto nell’Italicum, il ballottaggio porterebbe al non rispetto dei principi di uguaglianza e libertà del voto. Porterebbe cioè a una «sproporzionata divaricazione» tra la composizione della Camera «e la volontà dei cittadini espressa con il voto, principale strumento di manifestazione della sovranità popolare». Ancora: «Il legittimo perseguimento dell’obbiettivo della stabilità di governo, di sicuro interesse costituzionale, (…) non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta».
Per bocciare questo aspetto dell’Italicum i giudici fanno riferimento al cosiddetto “Porcellum”: «Le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente». La legge, insomma, sarebbe stata incostituzionale anche se la riforma costituzionale fosse passata al referendum dello scorso dicembre con la vittoria del “Sì”. Diversi sostenitori del “Sì” avevano invece attribuito la bocciatura dell’Italicum proprio alla vittoria del “No” («Non c’è stata una bocciatura dell’Italicum. La Corte costituzionale ha censurato solo il ballottaggio, che era chiaramente utile in una camera sola se fosse passata la riforma, ma insostenibile in un sistema bicamerale», Ettore Rosato, capogruppo del PD alla Camera).
La Corte precisa però di non poter modificare «tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il premio viene assegnato all’esito del ballottaggio». Questo lavoro spetta al Parlamento.
I giudici hanno anche indirettamente risposto all’obiezione che alcuni hanno fatto dopo la pronuncia della sentenza del 25 gennaio, dicendo che dichiarare il ballottaggio incostituzionale avrebbe avuto delle conseguenze anche sulla legge per l’elezione dei sindaci (che prevede il doppio turno). La Consulta dice che il parallelismo non regge e che la disciplina del secondo turno delle comunali è «ben diversa»: alle amministrative l’elezione avviene in maniera diretta, una situazione differente «dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale».

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La scelta dei capilista eletti in più collegi è incostituzionale perché «l’opzione arbitraria affida irragionevolmente alla sua decisione (alla decisione del candidato, ndr) il destino del voto di preferenza espresso dall’elettore, determinando una distorsione del suo esito». L’Italicum attribuiva cioè «al capolista bloccato, indirettamente, un improprio potere di designazione del rappresentante di un dato collegio elettorale, secondo una logica idonea a condizionare l’effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori». Anche in questo caso la Corte ha indicato come rimedio, per non lasciare un vuoto legislativo, il criterio del sorteggio, ma esortando il Parlamento a intervenire: «Appartiene con evidenza alla responsabilità del legislatore sostituire tale criterio con altra più adeguata regola, rispettosa della volontà degli elettori».
La questione dei capilista bloccati è invece stata giudicata legittima, mentre era stata bocciata dalla stessa Corte per il Porcellum: tra le due leggi ci sono infatti delle differenze sostanziali. I collegi plurinominali dell’Italicum sono ridotti, l’unico candidato bloccato è il capolista e gli elettori e le elettrici possono dare due preferenze a candidati che non sono capilista. Nel Porcellum questo non c’era.

 

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