L’approvazione del nuovo regolamento di attuazione della legge regionale n. 11/07 per la dignità e la cittadinanza sociale, pubblicato sul Burc del 28 aprile scorso, e del relativo catalogo di offerta dei servizi sociali erogabili in Campania riporta al centro del dibattito una questione che tutti gli operatori impegnati nei Piani sociali di zona avvertono sulla propria pelle. Questi ultimi, in particolare, sono costretti a navigare, ormai, a vista in mezzo a mille incertezze, dati anche i ritardi che, purtroppo, si registrano nella erogazione dei servizi e nei tempi di pagamento degli stessi. Con i conseguenti e inevitabili disagi per le famiglie che non riescono a sopravvivere se non grazie alla indispensabilità di quegli aiuti. Intendiamo riferirci all’ arcipelago, sempre più vasto e ancora inesplorato, della non autosufficienza come spia emblematica di una colpevole e generale disattenzione verso un mondo, quello dei bisogni sociali, che meriterebbe ben altro atteggiamento di solidarietà. Culturale, prima che istituzionale o politica.
Diciamocelo, le inadempienze sono tante. E la miopia regna sovrana in un settore, quale quello dei servizi sociali, che, erroneamente viene considerato un peso non sostenibile, una pietra al collo dei contribuenti, mentre, invece, a ben vedere, è esso stesso volano, spinta, leva per lo sviluppo e la crescita della qualità della vita in un intero territorio. Fino a diventare “politiche sociali” e, in quanto tali, far scattare doveri ineludibili di risposte a bisogni che hanno tutto il crisma di diritti effettivi ed esigibili.
Tra queste inadempienze ve n’è una specifica, che coinvolge direttamente il Parlamento e il Governo nazionale, chiamati dalla Costituzione a garantire, a maggior ragione nel campo della non autosufficienza, una soglia
minima di prestazioni che, se definita, metterebbe a tacere, in un batter di ciglia, tutte le perplessità che persistono nei vari ambiti territoriali. La soglia è quella dei livelli essenziali di assistenza sociale (Liveas o Leps), deputati ad assicurare una quota di prestazioni sociali eguali e inderogabili per tutti i cittadini italiani, sia al Nord che nel Mezzogiorno.
Già nella revisione del titolo V della Costituzione del 2001 e, poi, con la legge delega n. 42 del 2009 di attuazione dell’art. 119 della stessa, fino alla ultima legge di riforma costituzionale, la n. 1 del 2012, si erano riaccesi i riflettori su questa fondamentale questione, la cui soluzione resta preliminare a qualsiasi ipotesi di riequilibrio territoriale dei servizi sociali oltre che di un’integrazione funzionale delle fonti di finanziamento per le prestazioni associate alla non autosufficienza.
Una questione che si incrocia con lo stato dell’arte sul federalismo fiscale e sul relativo fondo perequativo senza vincoli di destinazione, di fatto superato dalla evoluzione delle dinamiche politiche degli ultimi tempi. Questo ha portato, in sostanza, a disegnare una strana costruzione politico- finanziaria in base alla quale, nella tripartizione costituzionale Stato – Regioni – Comuni, si sono disciplinati i trasferimenti erariali all’interno di ogni singolo livello di governo mentre tutta la materia in tema di perequazione tra i tre livelli è stata completamente elusa. Di conseguenza è naufragata, di fronte alla norma ferrea del fiscal compact, nel frattempo intervenuta, che non consente compensazioni trasversali tra il governo nazionale e quelli locali, ogni speranza per questi ultimi di essere aiutati dallo Stato. D’altra parte essi sono impediti di reperire nei propri bilanci le risorse aggiuntive per fronteggiare eventuali riduzioni in entrata. E, come un ulteriore colpo di scure, il recentissimo decreto legge n. 4 del 28 gennaio scorso, convertito in legge il 28 marzo, ha tolto altri fondi al Ministero delle Politiche sociali, 21 milioni e mezzo, per la precisione, già quest’anno, stravolgendo la stessa legge di stabilità che aveva previsto tagli solo per 1,2 milioni di euro. L’effetto è l’aggravamento di una situazione, in termini di risorse, già compromessa dagli abbattimenti al fondo nazionale per le politiche sociali (Fnps) susseguitisi nel corso degli ultimi anni (da 2520 milioni nel 2008 ai circa 350 del 2014) e al Fondo per la non autosufficienza (FNA), completamente azzerato dal prossimo anno.
Eppure non sfugge a nessuno la crescita, progressiva ed esponenziale, del fenomeno della non autosufficienza dopo i 65 anni, che si impenna tra i 75 e gli 85 anni. Due milioni e mezzo di persone con gravi disabilità, ci dicono il CENSIS e l’ISTAT, con un trend che già l’anno prossimo sforerà i tre milioni. Di fronte ad un quadro di questo genere gli Enti territoriali, nel rispetto dell’art. 119 della Costituzione, dovranno da soli, e comunque, garantire l’equilibrio di bilancio tra le entrate e le spese finali, riducendo, in primis, i servizi sociali.
È vero, in effetti, che, come recita l’art. 5 della legge costituzionale n.1/12, “lo Stato, nelle
fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, anche in deroga all’art. 119, concorre ad assicurare i finanziamenti dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali”, anche attraverso unFondo straordinario (art. 11 della l. 243/12).
Ma la condizione per godere di quella deroga è che siano definiti, a monte, i fabbisogni di spesa. E, purtroppo, noi sappiamo che, a differenza di altri settori (tra questi anche la sanità), nel campo dei servizi sociali tale adempimento non è ancora compiuto e, con esso, neanche quello dei livelli essenziali di prestazioni. Di conseguenza non è maturato il sostegno dello Stato ai territori con maggiori difficoltà finanziarie, né si è stabilito il criterio in base al quale calcolare le risorse occorrenti per assicurare, in sede locale, un aiuto adeguato ai non autosufficienti.
Gli stessi tagli ai fondi nazionali di settore, ai quali stiamo assistendo ormai dal 2009, e la contestuale “distrazione” dall’obbligo di definire i Liveas portano alla conclusione di un deliberato disimpegno dello Stato e della presa d’atto che il reperimento delle risorse per garantire risposte idonee sia ormai una questione che si circoscrive agli altri due livelli istituzionali, regioni e comuni.
In un contesto del genere ritorna urgente attivarsi, reclamare l’attuazione di quella regia nazionale per la definizione dei Liveas, attesi ormai da tredici anni, se vogliamo ancora sperare di salvaguardare le risorse per la non autosufficienza.
È questa la madre di tutte le battaglie sociali. Di fronte all’essenzialità non c’è tetto di spesa che tenga. Né c’è facoltà, o arbitrio, di negare diritti a chi, più di ogni altro, ha disperato bisogno di vederseli riconosciuti.