“La funzione punitiva non deve essere centrale o prevalente ma, purtroppo, nella
società il vento spira in un’altra direzione, il sistema penale è al collasso e mostra di accanirsi sugli autori di reati marginali, ci vuole una nuova visione, occorre avere tutti la consapevolezza del dettato costituzionale e valorizzare i percorsi che le persone fanno in carcere” ha detto il Procuratore della Repubblica di Salerno Giuseppe Borrelli alla presentazione del Report 2020 sulle criticità e buone prassi dei luoghi di privazione della libertà personale nella provincia di Salerno (carceri, misure alternative, TSO) realizzato dal Garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Samuele Ciambriello in collaborazione con l’Osservatorio Regionale sulla vita detentiva.
“Mettere insieme, a livello territoriale, i diversi attori impegnati nel settore carcerario e fare sistema”, è stato l’appello del Garante campano Ciambriello.
L’incontro, che si è svolto nella Sede della Caritas diocesana di Salerno, ha dato modo ai presenti di fare il punto della situazione in cui si trova attualmente il sistema carcerario provinciale caratterizzato da una popolazione detenuta di 537 persone a fronte di una capienza regolamentare di 482 posti. Dato che conferma, anche in questo territorio, i problemi di sovraffollamento di cui soffrono gli istituti penitenziari della Regione. Una situazione che, col concorso di altre criticità, diventa sempre più insostenibile. “Alla certezza della pena va coniugata la qualità della pena”, ha aggiunto Ciambriello che, nella sua introduzione ha sottolineato il diritto dei detenuti alla formazione, alla vaccinazione contro il Covid 19 e a un percorso riabilitativo che non deve avvenire unicamente in carcere. Da qui la necessità di ricorrere a misure alternative, considerando anche che attualmente ci sono 2.000 ristretti condannati a un solo anno di carcere.
Monsignor Andrea Bellandi, arcivescovo metropolita di Salerno, Campagna e Acierno ha contribuito a questa mattinata di riflessione comune evidenziando l’attenzione della Chiesa alla problematica carceraria, come dimostra l’istituzione della Pastorale carceraria che agisce nel solco tracciato dalla Caritas diocesana. “Una persona non va identificata con l’errore che ha commesso – ha detto – ma è molto di più”; e ancora: “La porta del recupero deve essere sempre aperta, ma per il reinserimento dei detenuti nella società occorre creare condizioni ben precise”. Centrali, da questo punto di vista sono i percorsi di rieducazione. Occorrono quindi interventi strutturati, occorre un sistema carcerario diverso, perché quello esistente viola regole chiare fissate per garantire il rispetto dei detenuti; “non si può privare un uomo della sua dignità anche se ha commesso il più odioso dei reati”, ha detto Monica Amirante, Presidente del Tribunale di sorveglianza di Salerno; le ha fatto eco Rita Romano, direttrice del carcere di Fuorni che nel suo breve intervento ha sottolineato la difficoltà di questi obiettivi, visto il carattere impietoso dei dati, ma ha affermato la sua fiducia in un cambiamento che potrà realizzarsi solo con un impegno corale. Un impegno da svolgere su diversi fronti; come quello menzionato da Florinda Mirabile, referente dell’Osservatorio carcere dell’Unione Camere Penali che ha sottolineato l’importanza di “far rispettare anche in questo campo la Costituzione e i trattati internazionali sottoscritti dal nostro Paese in ambito detentivo. Serve una capacità progettuale, una concezione per cambiare la situazione del carcere, infatti secondo Don Rosario Petrone, responsabile della Pastorale carceraria “la recidiva diminuisce dove ci sono progetti che aiutino la persona a ritrovare sé stessa”.