La sede del Consiglio regionale della Campania è stata sede della conferenza di presentazione della mostra che ospiterà per tre giorni, composta da manufatti di provenienza straordinaria. Stiamo parlando dei prodotti realizzati da un gruppo di detenuti del carcere di Poggioreale che hanno preso parte al Progetto Keramos, promosso dalla cooperativa Il Quadrifoglio e dall’Associazione La Mansarda, e che ha portato i partecipanti ad imparare a lavorare la creta e a realizzare oggetti come vasi, soprammobili e persino presepi.
Coordinatore della conferenza stampa di presentazione è stato proprio Samuele Ciambriello, fondatore de La Mansarda che, dal 1989 ad oggi, si è fatta promotrice di numerosissime iniziative volte a migliorare le condizioni di vita dei detenuti campani. È egli stesso, dunque, ad introdurre dei relatori di primo piano, a cominciare dal direttore del carcere di Poggioreale, Antonio Fullone, il quale ha dichiarato di accogliere queste iniziative «con grande piacere e interesse, perché sposano un’idea del carcere che combatte la noia e l’inattività. L’occasione di cimentarsi con un’arte non soltanto sottrae i detenuti all’inattività, ma offre anche una possibilità di riflessione e poi di un contatto con l’esterno. Il carcere deve essere occasione di ripensamento e di riscatto. Queste sono situazioni anche un po’ calibrate su quella che è la nostra utenza che una permanenza piuttosto breve in carcere, perciò non c’è una elaborata professionalità, ma sono comunque delle possibilità per costruirsi una vita diversa. Vorrei inoltre sottolineare la fortissima integrazione che si sta creando tra le varie associazioni con l’intero mondo penitenziario».
Lidia Ronghi, presidente de Il Quadrifoglio, ha voluto iniziare elogiando un’iniziativa che «ci ha arricchito ulteriormente. Avendo già lavorato con i minori a rischio e avendo gestito una bottega della ceramica per tanti anni, abbiamo trasferito le nostre competenze con i detenuti di Poggioreale. Si è trattato di uno scambio di esperienza, e tra il gruppo dei frequentanti abbiamo individuato colui che è più bravo a modellare, un altro che è più portato a dipingere, insomma delle risorse che loro stessi non sapevano di possedere. Oltre a fornire delle competenze di base, ed io credo che l’intero settore dell’artigianato artistico vada rivalutato, iniziative del genere portano alla luce il valore umano e sociale che emerge nel contatto con queste persone» e ricorda come detenuti si siano affezionati a quest’appuntamento, motivo di scambio tra il dentro e il fuori, da cui il titolo del progetto Liberidentro. «Ci piacerebbe continuare l’esperienza – ha aggiunto – perché sarebbe interessante se dai tanti ragazzi che hanno frequentato il corso qualcuno potesse poi fare da tutor ad altri detenuti».
In vece della Garante dei detenuti Adriana Tocco, è intervenuto il dott. Pierluigi Lo Presti, che ha evidenziato come si senta spesso «risuonare una parola piuttosto importante, la dignità. Spesso i detenuti sono consapevoli dei reati e del danno che hanno arrecato alla collettività, ma sono anche consapevoli di non aver perso il diritto ad un trattamento dignitoso. Ben vengano perciò attività come questa che sottraggono i detenuti a quel tempo vuoto del carcere che è angoscioso. In tante regioni, nelle carceri si realizzano prodotti immessi poi sul mercato e che ci arrivano di pari dignità di quelli ottenuti dalla libera industria. Se riuscissimo a farlo anche in Campania, credo che raggiungeremmo un altro grande e importante risultato».
Sostituisce invece Tommaso Contestabile l’intervento di Francesco De Martino, vicario del provveditorato dell’amministrazione regionale: «È necessaria una puntualizzazione, proprio per dare un pieno significato a queste iniziative, affinché le stesse possano poi effettivamente realizzare il salto di qualità. Noi stiamo assistendo, ormai da qualche tempo, a un cambiamento del concetto di pena, probabilmente sotto la spinta dell’Europa. Possiamo vedere come stia dilagando un’ossessione giustizialista. Sia da destra che da sinistra proviene la richiesta di riconoscere nuovi reati e di applicare pene sempre più severe per ogni emergenza. Se la politica però non si fa carico di quello che dovrebbe essere un suo compito primario, di favorire cioè la crescita del livello culturale della società, iniziative come questa possono produrre qualche effetto come l’umanizzazione della pena, ma secondo me rischiano anche di naufragare in quello che è l’obiettivo che dovrebbe essere costituzionalmente garantito». Il consigliere regionale Carmine De Pascale, da parte sua, ritiene che sia fondamentale che «chi sbaglia, subisca ciò che è previsto dalla legge, però dev’esserci anche un altro scopo, vale a dire la rieducazione del soggetto che ha sbagliato e la re-immissione di questo soggetto nella società per dargli altre possibilità, e queste attività formative vanno in quella direzione. Il concetto di sicurezza implica anche questo, di occuparsi di coloro che hanno bisogno e fare in modo che prendano la strada giusta, che non siano prede del reclutamento da parte di organizzazioni criminali».
A concludere Rosetta D’Amelio, Presidente del Consiglio regionale: «Prima di intervenire nel merito dell’iniziativa di cui parliamo oggi, mi piacerebbe dire qualcosa che riguarda le istituzioni. Ognuno di noi, al di là dell’ambito legislativo, deve lasciare un segno del proprio governo istituzionale. Anche in questo Consiglio regionale intendo imprimere una svolta nel sociale, tant’è che abbiamo organizzato dei concerti al San Carlo coi ragazzi della periferia di Napoli, il mese prossimo intitoleremo l’aula consiliare a Giancarlo Siani, abbiamo organizzato un evento sui consultori familiari, e mi ha fatto molto piacere appoggiare questa mostra che coinvolge una delle carceri più importanti sul territorio regionale. Credo che se vogliamo costruire una società realmente democratica abbiamo il dovere, con le istituzioni, di interrogarci sulle contraddizioni che attraversano la nostra era. È giusta la certezza della pena, se uno sbaglia deve pagare, ma dobbiamo lavorare per non far perdere il diritto alla dignità. Nel carcere si deve anche operare per far sì che quando si esce dal carcere non ci si ritorni».
Forse la testimonianza più significativa è stata quella di uno dei detenuti che ha ottenuto un permesso speciale per uscire dal carcere e venire a raccontare di persona che cosa significhi aver preso parte a questo progetto: «Sono molto contento di aver frequentato questo corso. Ho imparato tanto, e innanzitutto a socializzare, e a stare con gli altri. Noi abbiamo commesso degli errori, ed è giusto che paghiamo, abbiamo perso la libertà, ma non la dignità».