È un lungo dossier quello redatto dalla Commissione Ispettiva istituita il 22 luglio 2021 dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, per far luce su rivolte e disordini, avvenuti nel 2020, nelle carceri italiane.
Ad aprire il capitolo sesto – “Ricostruzioni degli eventi e sintesi delle rivolte” – è la vicenda del carcere di Fuorni: scoppiata il 7 marzo 2020, è stata la prima protesta in Italia. La ribellione ha avuto un importante eco mediatico, specie perché l’Antimafia sosteneva che dietro i disordini, non solo a Fuorni ma in tutta Italia, ci fosse la regia della criminalità organizzata, in particolar modo della ‘ndrangheta. In piena rivolta, una delegazione di detenuti di Salerno consegnò all’autorità un documento, poi denominato ‘papello’, in cui avevano appuntato le loro richieste per preservare le loro condizioni di salute ed evitar eccessive restrizioni in materia di colloqui e telefonate con i familiari. Proprio quel ‘papello’, inizialmente, fu ritenuto antecedente alla protesta e quindi la stessa fu considerata premeditata per ottenere più indulgenza e maggiori benefici. Importante, per il chiarimento di questo punto, è stata la testimonianza del Garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello, che «ha riferito – si legge nella relazione della Commissione – che il documento non era stato preparato precedentemente e di averlo appreso dal vicario del Questore , che aveva partecipato alla mediazione con i detenuti e gli aveva riferito che era stato proprio lui a chiedere ai detenuti di mettere per iscritto quali fossero le ragioni della protesta e le loro richieste». L’esito degli accertamenti della Commissione hanno chiarito anche le diverse incongruenze di quei giorni, nell’istituto di pena di Salerno.
Il commento del Garante campano dei diritti delle persone sottoposte a misura restrittiva della libertà personale, Samuele Ciambriello, alla relazione conclusiva della Commissione: «Mi sono mosso in prima persona per far cessare le proteste; sin dall’inizio, ho compreso che erano legate al timore di forti limitazioni ai rapporti familiari, alla preoccupazione del pericolo di contagio per il sovraffollamento e alla mancanza di informazioni su come prevenire l’eventuale contagio da Covid-19. Questo l’ho dichiarato ai membri della Commissione, presieduta dal magistrato Sergio Lari, dalla quale sono stato sentito come persona informata sui fatti l’8 novembre 2021. Quel ‘papello’ non era preesistente alla rivolta e sono felice che questo sia stato anche riconosciuto dalla Commissione. Quando sono stato sentito, ho anche riferito sul fatto che, a mio avviso, il clamore mediatico sull’accaduto a Fuorni era stato eccessivo e che, almeno per la tipologia di detenuti coinvolti, soprattutto tossicodipendenti, non poteva esser stato tutto architettato dalla ‘ndrangheta. I motivi della protesta, almeno a me, sono sembrati subito più che chiari e sono contento che la Commissione sia arrivata alle stesse conclusioni, ovvero che “è da escludere che il ‘papello’ sia stato il primo passo di una strategia concordata a più alti livelli o suggerita dall’esterno”. I mass media hanno ingigantito tutta questa storia, adombrandola con qualcosa che non solo, per me, era inesistente, ma soprattutto improbabile. La rivolta è stata messa in atto da un gruppo davvero ristretto di detenuti e quasi tutti con problemi di droga. Poteva mai essere stata la criminalità organizzata a muovere le loro azioni? Mi è dispiaciuto sentire in tante trasmissioni, prime tra tutte ‘Non è l’Arena’, certi commentatori, spesso anche magistrati impegnati da anni sul fronte antimafia, sostenere convintamente che dietro le rivolte in carcere, in tutta Italia, ci fosse la mano della mafia calabrese. Il documento finale redatto dalla Commissione restituisce verità, sull’accaduto di Fuorni, ma anche su tutte le altre ribellioni nelle carceri del Paese. Adesso, bisogna attendere l’esito delle indagini per chiarire i contorni della morte di undici detenuti, proprio durante le rivolte del 2020».