“Le ragioni di questa sconfitta devono appartenere alla discussione della Direzione provinciale del Partito Democratico che convocheremo per la prossima settimana”. Il segretario provinciale del PD irpino Carmine De Blasio non ha nascosto l’amarezza per il risultato venuto fuori dalle urne e che ha consegnato al centrodestra la presidenza della nuova Provincia di Avellino. Bisognerà parlarne sicuramente in direzione, dove De Blasio non sarà accorto da folle di dirigenti osannanti. Piuttosto da più parti, come accaduto subito dopo i primi dati significativi emersi dal voto, sarà chiesta la sua testa. Il quadro dipinto dalle urne di Palazzo Caracciolo è a finte fosche per i democratici irpini: come anticipato qui qualche giorno fa, gli amministratori hanno manifestato tutte le loro perplessità sul nome di Paolo Foti optando per il voto disgiunto e generando un Consiglio provinciale a maggioranza di centrosinistra retto da un presidente di centrodestra, Domenico Gambacorta.
Il Partito Democratico da solo ha bissato i voti di Forza Italia, ha quasi raddoppiato la performance del Nuovo Centrodestra; se si aggiungono le preferenze andate all’altra lista di centrosinistra, la forbice tra i due schieramenti si amplia ulteriormente. I democratici hanno vinto ovunque, ma il loro candidato ha perso ovunque tranne che nei Comuni al di sotto dei 3mila abitanti. E allora cosa è successo in quelle urne? E’ andato in scena l’ennesimo suicidio politico di una classe dirigente che non è riuscita a tenere la quadra, a sedare i malumori, a tranquillizzare quanti erano scettici sulle scelte, quanti da mesi avevano più o meno palesemente fatto emergere il dissenso. Non ne esce bene il Partito Democratico da queste Provinciali: è un partito ferito, azzoppato, che vede ridimensionata l’autorevolezza del sindaco del capoluogo, reo di essersi lasciato imbrigliare nella sua azione amministrativa, in realtà mai decollata, e “tradito” dai suoi colleghi a Palazzo di Città che hanno usato questa tornata elettorale per lanciare segnali in vista del rimpasto. Ferisce il Partito Democratico anche il dato che viene dagli altri Comuni più popolosi della provincia: pure lì il candidato presidente ha perso e il dato della lista non può essere un alibi per rimandare assunzioni di responsabilità.
Foti è stato immolato sull’altare delle Provinciali prima da chi lo ha candidato, in ragione del voto ponderato (e su questo è evidente la responsabilità dell’assemblea dei sindaci Pd che ne aveva accolto la candidatura in modo unitario) e poi da chi non ha esitato a infliggergli un colpo che mortifica l’uomo ancora prima che l’amministratore. Altra parentesi meriterebbe l’Udc che non si può dire sia stato determinante in favore di Foti, anzi tutto lascia pensare che gli elettori vicini al partito di De Mita abbiano “disobbedito” alla linea del coordinamento provinciale per inseguire Pietro Foglia. Altro discorso è quello relativo a un Nuovo Centrodestra che tra gli amministratori sorpassa Forza Italia e raccoglie il frutto, cospicuo, di pochi mesi di lavoro sui territori. Altro capitolo andrebbe riservato a chi all’interno del PD ora esulta per una vittoria che “spazzerebbe via la vecchia politica”. Le Regionali sono alle porte e, dopo la non vittoria delle Amministrative di maggio, la débacle a Palazzo Caracciolo impone una seria riflessione. La prossima volta alle urne ci andranno i cittadini, non i colleghi amministratori.