Salvini? Brunetta? Grillo? Il PD? Un elenco di nomi che non finisce più. La lista dei vincitori e degli sconfitti alle elezioni di domenica 17 aprile sembra allungarsi sempre di più, come se questi personaggi fossero andati in prima persona al voto. Col referendum ormai alle spalle, si sentono ancora gli ultimi strascichi di una guerra interna di cui a noi elettori, in realtà, forse importa meno che poco. A dimostrazione che il quesito referendario nascondeva, in realtà, una querelle tutta politica di cui la maggior parte di coloro che si sono presi il disturbo di andare a votare non se n’è nemmeno accorto. Noi pensavamo al mare, alle rinnovabili e ai posti di lavoro, e loro ad alzare la cresta per dimostrare chi è l’unico gallo del pollaio.
Si potrebbe cominciare dalla lite mediatica tra Francesco Nicodemo e Michele Emiliano, membro della direzione nazionale del PD il primo, e il presidente della Regione Puglia il secondo (peraltro anche lui PD). Forse lo avrete già visto, il napoletano Nicodemo che lancia la provocazione su Twitter al collega di partito, nel bel mezzo delle votazioni, con uno sfottò nemmeno tanto celato sul fatto che il quorum fosse lontano.
«Nonostante i tuoi RT alla gente che odia il PD il quorum è lontano. E mo’?», scrive Nicodemo, al quale Emiliano ribatte: «Stanno andando a votare milioni di italiani, non far perdere altri voti al Pd che avete già fatto un danno enorme». Quest’ultima risposta ci evita di fare un giro enorme per dire una cosa semplicissima: noi italiani a votare ci siamo andati. Quale che fosse la ragione, una parte di noi ci ha creduto nella possibilità di cambiare qualcosa. È evidente che Nicodemo non mirava ad offendere o punzecchiare nessuno dei comuni cittadini, ma il punto è proprio questo. Anche il referendum sulle trivellazioni in mare è diventato pretesto di scontri tra fazioni, e pazienza se per farlo qualcuno ha dovuto farsi mettere un timbro in più sulla tessera elettorale.
Peggio ancora per Ernesto Carbone, della Segreteria nazionale del PD, che non ha trovato nulla di meglio che sentenziare gli esiti di questo referendum in questo modo, anche lui via Twitter: «Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l’importante è partecipare». Ma quel che più ha mandato in bestia il popolo della rete è stato quell’hashtag #ciaone, che suona così presuntuoso e arrogante da non poter non dare fastidio. Questo sì che sembrava rivolto a tutti, politicanti e non. Almeno Nicodemo l’ha chiarito, attraverso un post su Facebook, che chi ha votato merita rispetto, salvo poi accorgersi che gli altri post possono urtare lo stesso chi ha votato.
Subito sotto, continua: «Gli sconfitti sono l’armata Brancaleone che da Salvini a Di Maio, da Casapound a Brunetta a Fassina ha fallito». Errato, almeno in parte. Così come è errato il discorso di Matteo Renzi che, appena i seggi sono stati chiusi, s’è messo davanti alle telecamere per dire che gli elettori non hanno perso, al di là del risultato in sé, ma hanno perso «quei pochissimi consiglieri regionali e qualche presidente di regione che ha voluto cavalcare il referendum per esigenze personali e politiche, di conta interna». Di nuovo. È evidente che tutti abbiamo perso di vista l’obiettivo. Loro, la classe dirigente del PD, che pensa di far parte della schiera di vincitori quando non hanno vinto un bel niente, e chissà se ne accorgeranno mai che la fetta di elettori che hanno perso a favore dei 5 Stelle, che s’è allontanata dalle fila piddine come fece Civati un anno fa. Gli altri, quelli che hanno voluto sfruttare le consultazioni scambiandole per una lotta di potere, quale poi si è dimostrata essere.
Infine, noi. Italiani che votano, che dobbiamo ignorare la sensazione di sentirci presi in giro a colpi di tweet sui social network, e ancora di più quelli che non votano perchè alle urne non ci vanno da anni, ma vogliono conservare il diritto e il dovere di lamentarsi sempre e comunque.