Grazie alla cucina si può trovare una nuova strada. Non solo professionale, soprattutto di vita. È il caso di Gigino Acunzo che – dopo alcuni anni vissuti in maniera “spericolata”, anni che sono poi sfociati nella detenzione – ha aperto una trattoria a Sant’Anastasia che nel giro di pochissimo tempo è diventata famosa anche a Napoli. Raggiungerla non è facile persino per il navigatore ma, una volta arrivati in zona, chiunque saprà indicarvi la strada.
I piatti che Gigino prepara insieme alla moglie e alla figlia sono così buoni che la gente gli ha affibbiato l’appellativo di “O’ sopraffino”, da cui il nome di “Hosteria il Sopraffino”. “Ho sempre amato la tavola”, ci dice, “ma ora che mi ha dato una seconda possibilità di vita la amo ancora di più. La mia cucina è tradizionale: semplice, fresca e schietta come me. Mi piacciono però i contrasti, tant’è che spesso metto insieme il mare e i monti”. Tutta questa schiettezza la si può riscontrare innanzitutto nelle fritture che, vista l’assenza di macchine industriali, sono pulite e croccanti, ma anche nel servizio: non esiste infatti un menù alla carta in quanto “il sopraffino” – che cucina in relazione alle materie prime trovate giorno per giorno – passa tutte le sere per i tavoli a spiegare ai suoi clienti (il locale ne può ospitare al massimo 50) i piatti del giorno, come dovesse recitare un copione teatrale che spesso lo vede nei panni di un personaggio molto colorito che usa espressioni vernacolari, presenta dei “gadget goliardici” oppure – nelle serate di maggiore “ispirazione” – mette in scena il celebre “rito” della rottura del piatti in sala. “La rabbia ogni tanto va sfogata”, aggiunge ridendo, e noi non possiamo che dargli ragione se questo è un modo per fuggire la vita oscura e disordinata che per tanti anni ha abbracciato prima di “rinascere” con una nuova personalità. Sempre stravagante, certo, ma finalmente sana.
di Alessia Porsenna