Parole forti , dirette e che non lasciano certo adito a interpretazioni quelle rilasciate dal Questore Antonio De Iesu, che è voluto intervenire riguardo all’ultimo gravissimo evento di criminalità accaduto in un luogo di movida dell’hinterland napoletano ; termini netti come “belve” e “branchi” sono da lui usati per apostrofare i ragazzi dei quartieri delle periferie che popolano le tormentate notti cittadine. Purtroppo è un problema all’ordine del giorno quello di una movida sempre più intrecciata con la criminalità , e in alcuni casi la dimensione delinquenziale va addirittura a eliminare quella del divertimento. Ma davvero c’era bisogno di usare parole così forti come quelle di cui si è servito il Questore? Proprio questo è l’interrogativo che in molti si pongono e su cui ha voluto ragionare la giornalista Titti Marrone nel suo articolo sul giornale “Il Mattino” , in cui ha cercato di confrontare e di includere punti di vista di importanti personalità : storici , docenti , professionisti e intellettuali napoletani. Non mancano certo pareri concordanti con quelli espressi da Antonio De Iesu , tra i quali spicca in particolar modo quello dello storico Giuseppe Galasso : “Ha ragione perchè il centro cittadino viene invaso ,in certe ore, da ragazzi e non solo provenienti dalle periferie, come sulla scaturigine psicologica e sociale della violenza. Ma non è fondata l’esclusiva provenienza periferica di quella violenza. La cronaca cittadina ci ha segnalato casi in cui i protagonisti sono a volte dei quartieri alti. La violenza di cui parliamo deriva dalla mancanza di un’effettiva vita comunitaria, anch’essa non esclusiva delle zone periferiche o dei quartieri degradati“. Su una differente lunghezza d’onda rispetto a quella del Questore si pongono invece numerose figure , sostenenti appunto quanto non sia solo così che si risolve il dramma dei giovani che vivono in zone limitrofe. Riporto a tale proposito le esternazioni di Samuele Ciambriello , nostro direttore e ora Garante dei Detenuti , che è così intervenuto sulla questione : “Della camorra, degli uomini della camorra sappiamo tutto , delle donne in ascesa sappiamo ancora più di prima , dei fanciulli e degli adolescenti che crescono , di questi bambini a metà non conosciamo progetti e sogni. Ma da loro dobbiamo ripartire , intercettare il loro consenso , il loro senso di appartenenza, il loro sentirsi diversi e superiori. Io non li chiamerei belve“.
Aggiunge poi : “Questa umanità non deve pensare solo ai suoi bisogni materiale, ma deve essere felice nella bellezza delle arti e nella cultura , devono scoprire la forza della conoscenza e del sapere , vivere la scuola come una grande opportunità. Con fatica, con intelligenza, con investimenti nel sociale, a poco a poco, si possono portare questi adolescenti a vivere una vita normale. Non ci sono quartieri che generano belve, ma disvalori e diseguaglianze. Le Istituzioni a vari livelli, le parrocchie , le associazioni, i mass-media devono fare rete. Liberare i minori , educare gli adulti“. Parole che non possono fare altro che indurci a fare delle grandi riflessioni , e che in parte trovano anche d’accordo il sacerdote-scrittore don Gennaro Matino, che ci preme però a sottolineare che “meravigliarsi di quanto accade ha dell’ipocrita perchè si tratta di un disastro già annunciato, conseguenza dell’abbandono delle famiglie e anche delle Istituzioni. C’è l’impegno alacre delle forze dell’ordine , ma la qualità della vita è fatta di spazi costantemente violati anche in virtù di un’assenze dello Stato particolarmente grave a Napoli, nel nostro Sud“. Forte e urgente deve essere dunque l’impulso che deve innanzitutto partire dall’Istituzione , affinchè ai giovani possa essere consegnato un mondo migliore e dati nuovi spazi per crescere , nella speranza che non passino nuovamente alla cronaca nera altri atti efferati come quello accaduto nella movida di Chiaia , e si riesca a limitare la piccola criminalità , intervendo al cuore della formazione dei giovani.
Alessandro Gerardo De Rosa