Giovedì scorso, 2 maggio, una delegazione dei Radicali per il Mezzogiorno Europeo si è recata in visita presso il carcere di Benevento. L’iniziativa faceva parte di un ciclo di ingressi in carcere che ha incluso anche Bellizzi Irpino e Sant’Angelo dei Lombardi, mentre il prossimo 18 maggio sarà la volta di Ariano Irpino. Il carcere di Benevento, diretto da Claudio Marcello, ospita al momento 402 detenuti (in circa 450 posti) di cui 5 semiliberi, 22 giovani adulti, 60 in attesa di primo giudizio, 40 in attesa di appello, 27 ricorrenti, 226 definitivi e 48 con una posizione giuridica mista, 85 donne e 37 con tossicodipendenze certificate (alcuni in terapia con il Sert). Il 65% dei detenuti si trova recluso a causa di reati collegati all’art.74 del testo unico in materia di stupefacenti.
Punto dolente è il rapporto dei ristretti con la magistratura di sorveglianza, non presente spesso in istituto e anzi a tal proposito i detenuti lamentano la totale assenza dei magistrati. A parziale scusante, va ricordato che la magistratura competente oltre ad occuparsi dei detenuti di Benevento ha in carico le carceri di Avellino, Lauro, Ariano Irpino e Sant’Angelo dei Lombardi, è evidente dunque che vi siano enormi difficoltà su questo fronte. Gli educatori presenti in istituto sono sei, un buon numero se comparato alla media degli educatori presenti in altre strutture detentive ma di gran lunga non sufficiente. Il direttore Marcello, che ha iniziato la sua carriera nelle carceri italiane prima da educatore e poi da direttore, tiene in maniera particolare a queste figure, presenze assolutamente non marginali ma fondamentali in carcere. In molte strutture detentive l’educatore viene declassato (talvolta anche per volontà sua) a mero animatore, una persona che si fa carico del compito di intrattenere i detenuti. Ma la normativa in realtà dice tutt’altro sul conto del mestiere-missione di costui: egli ha il compito di seguire il detenuto nel suo percorso rieducativo, osservando e certificando come il piano trattamentale offerto dall’istituto influisca sul soggetto. Il direttore Marcello sogna un carcere con almeno un educatore per reparto (se non due) in maniera tale da consentire un contatto più diretto tra detenuto ed educatore, circostanza che permetterebbe al primo di essere seguito da una figura professionale alla quale ha diritto e all’altro di svolgere in maniera piena la propria professione.
Per quanto riguarda la sanità, l’impressione è sempre la stessa rispetto a quanto emerso in altre visite, come nel carcere di Bellizzi Irpino ma anche altrove: infatti, a Benevento l’Asl sembra considerare la sanità penitenziaria come un compito ingrato e proprio per questo motivo, molto spesso i responsabili degli istituti si trovano a dover dare agli stessi medici indicazioni sul da farsi e sugli standard minimi che vanno rispettati (compito che attualmente non spetterebbe al direttore). In questa struttura, che presenta anche un’articolazione di salute mentale, gli specialisti ci sono e si fa in modo che questi effettuino visite frequenti, con cadenza almeno settimanale. Tuttavia ciò non sempre è possibile e talvolta si sono verificati periodi di forte carenza di specialisti. Qualche mese fa, ad esempio, per quasi tre mesi è mancata in struttura la figura del ginecologo, situazione chiaramente inaccettabile in un istituto di pena che conta ben 85 signore. Lo psichiatra risulta presente in struttura tre volte la settimana, in ordine ai disturbi psichiatrici la responsabile dell’articolazione di salute mentale del carcere di Benevento ci racconta che il 70% dei disturbi presenti tra i detenuti sono qualificabili come “borderline”, disturbi cioè non necessariamente psichiatrici ma comportamentali, spesso nati proprio dalla ristrettezza della vita carceraria. In seguito alla chiusura degli opg, molti detenuti con patologie psichiatriche borderline sono stati ritenuti idonei alla vita carceraria, il problema è proprio questo: il carcere è concepito come una discarica sociale. Infatti le rems sono troppo poche e i detenuti che non riescono ad essere gestiti lì vengono rispediti in cella, contemporaneamente neanche le articolazioni di salute mentale sono sufficienti (sebbene qui in Campania ve ne sia una per provincia). Per risolvere questo problema e per tutelare la salute di questi detenuti ancora più vulnerabili, servirebbe l’implementazione di misure alternative al carcere, affermano all’unisono dottori e direttore.
Il carcere di Benevento risale agli anni 80 e, sul piano strutturale, è composto da: il reparto giudiziario che prevede quattro piani in cui figurano altrettante sezioni di detenuti in alta sicurezza, due sezioni di detenuti in media sicurezza (i cosiddetti comuni) l’articolazione psichiatrica e l’infermeria. In un’ala a parte sono presenti invece il reparto femminile, quello dei sex offender e quello dei detenuti semiliberi lavoranti ex.art.21. La struttura prevede il regime delle celle aperte per più di otto ore al giorno durante le quali i detenuti hanno la possibilità di spostarsi da una cella all’altra e di recarsi presso la sala di socialità del proprio reparto (una sorta di saletta giochi, con tavoli da ping pong, tavolo e sedie in plastica, in cui i detenuti possono chiacchierare e intrattenersi). L’istituto presenta inoltre sei stanze adibite a palestra, pur se con pochi macchinari a disposizione dei detenuti.
L’offerta del carcere di Benevento sul piano culturale e formativo spazia su più campi: i detenuti hanno infatti la possibilità di frequentare l’istituto alberghiero, percorso scolastico particolarmente utile (soprattutto al Sud) ai fini della ricerca di un impiego una volta ottenuta la libertà. Questo percorso scolastico impegna al momento 100 detenuti. Vi sono poi corsi di alfabetizzazione per italiani e stranieri e corsi di teatro. Per le detenute è previsto un corso di scuola superiore indirizzo arte e moda. La struttura offre inoltre ai detenuti un singolare corso di copisteria musicale che prevede la trascrizione al computer di spartiti musicali, quest’attività occupa al momento sei detenuti e prevede un corso di formazione della durata di due anni con successivo impiego entro le mura carcerarie. È stato poi attivato un corso di pasticceria, anch’esso finalizzato ad un futuro inserimento lavorativo. Partiranno a breve alcuni corsi di formazione regionale riguardanti l’edilizia e la professione di estetista. Gli altri detenuti si accontentano di lavorare, con turni di sei mesi ciascuno, alle dipendenze della struttura stessa nei ruoli di spazzino, cuoco o addetto alle pulizie. Secondo il direttore – che ha avuto modo di intrattenersi con la delegazione radicale durante la visita – quello di Benevento è un carcere “aperto” verso l’esterno che interagisce piuttosto bene con la società civile e con le istituzioni.
Alla delegazione radicale sono dunque apparse evidenti anche a Benevento le medesime criticità rilevate nel carcere di Bellizzi Irpino (sempre nella giornata di giovedì 2 maggio) e in altre strutture: ovvero, oltre a un rapporto difficile con la magistratura e l’ufficio di sorveglianza, un’offerta formativa e di inserimento occupazionale non ancora in linea con le aspettative dei detenuti, senza dimenticare l’annosa e irrisolta questione della sanità penitenziaria, ben lontana da standard accettabili.
Fabrizio Ferrante
Sarah Meraviglia