23 dicembre 1984. Sono passati trent’anni da quando il Rapido 904 in partenza dal binario 11 della Stazione di Napoli Piazza Garibaldi e diretto a Milano, non arrivò mai a destinazione. Erano le 19.08 quando sotto la Grande Galleria dell’Appennino, ai confini tra Firenze e Bologna, una violenta esplosione fece saltare in aria il convoglio. Terrore, sangue, paura e sgomento: 16 morti e 267 feriti nel buio più totale. Un attentato assurdo, con l’obiettivo di compiere una strage: sì, perché l’esplosione di un ordigno così pesante proprio sotto quella galleria, poteva procurare un numero di vittime ancor più elevato.
La strage del rapido 904, con il passare del tempo è stata dimenticata e ignorata dalle istituzioni: un terribile episodio avvolto dal mistero, complici le inchieste insabbiate, le testimonianze ritrattate, i condannati talvolta assolti e i colpevoli poi giudicati innocenti.
A fare memoria sui fatti del 23 dicembre, la giornalista Giuliana Covella, con il suo quarto libro “Rapido 904, la strage dimenticata”, pubblicato dall’editore Graus. Questo libro non vuole essere una semplice e sterile commemorazione dei fatti accaduti il 23 dicembre del 1984; – premette l’autrice nella sua introduzione – la memoria, seppure abbia un ruolo fondamentale nell’imprimere il ricordo di una strage di Stato nella collettività, non è la sola a dover contribuire a far luce sulle responsabilità.
Giuliana Covella, tramite le pagine del suo libro indaga, cerca la verità e lo fa attraverso le crude testimonianze di chi ha attraversato il buio di quel tunnel tra sangue, feriti e cadaveri. La stessa verità che a distanza di trent’anni non è ancora stata scritta per i familiari di quei 16 morti e di quei 267 feriti. Giuliana si pone gli stessi interrogativi dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti: Di chi sono le responsabilità? Chi aveva interesse a far saltare in aria l’intera carrozza di un treno a bordo del quale viaggiavano tanti innocenti? Un iter giudiziario poco lineare, complicato dal rinvio a giudizio, nel maggio 2013, per il boss di Cosa Nostra Totò Riina accusato di essere il “mandante, determinatore e istigatore della strage di Natale”.
C’è una sottile linea nera – scrive il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris nella sua prefazione al testo – che unisce la strage di Natale con quella di Portella della Ginestra, passando per il caso Cirillo, fino a giungere al sacrificio di Falcone e Borsellino. Una linea che ci racconta di saldature fra mafia e pezzi delle istituzioni. Una storia che ci rivela come, in questo Paese, mentre tanti servivano lo Stato e onoravano la politica, lottando contro mafie e anti Stato, vi fossero politici pronti a dare una spallata alle istituzioni per favorire dittature sanguinarie, e per fare questo pronti a scatenare attentati terroristici che colpivano indiscriminatamente cittadini innocenti.
A discuterne con l’autrice e con il giornalista Attilio Iannuzzo – presso la Saletta Letteraria della cartoleria Amodio a Napoli – l’Avvocato Penalista Luigi Ferrandino che ha sottolineato, dal punto di vista legale, la particolarità di questo processo che si è consumato in circa dieci anni nonostante i misteri che lo avvolgono e le incomprensibili assoluzioni avvenute nel suo corso. Difficile, secondo Ferrandino, trovare delle risposte certe attraverso dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano. Un processo trascurato dai media e dallo Stato che già all’epoca non fece sentire la sua presenza e ancora oggi non si assume le sue responsabilità, lasciando soli parenti delle vittime e sopravvissuti che nel 1985 si sono uniti in un’ associazione guidata da Rosaria Manzo, figlia di Giovanni, uno dei macchinisti che portò in salvo molti dei passeggeri che viaggiavano sul treno del terrore.